Brusca: “Strage Capaci per fermare Andreotti”

di Mena Grimaldi

 MILANO. Dopo le minacce arrivate dal carcere da parte di Totò Riina nei confronti del pm Nino Di Matteo, così come preannunciato, per motivi di sicurezza il magistrato non ha partecipato all’udienza del processo Stato-mafia a Milano.

Intanto, dall’aula bunker di Milano, dove si svolge in trasferta l’udienza del processo Giovanni Brusca, l’uomo che ha premuto il telecomando dell’attentato a Giovanni Falcone il 23 maggio 1992, spiega la genesi della strategia stragista di Cosa Nostra.

“Totò Riina – ha detto il pentito – voleva vendicarsi perché le richieste presentate alla Democrazia Cristiana non erano state esaudite”. “Nel Natale 1991 – ricorda Brusca – Riina convocò a Palermo una grande riunione della Cupola: in quell’occasione ci annunciò che i politici ci stavano tradendo. Riina diceva che ad Andreotti dovevamo rompere le corna, ostacolandolo, non facendolo diventare presidente della Repubblica. E ci siamo riusciti, anche anticipando la strage Falcone. Dopo il 23 maggio, Riina mi disse: con una fava abbiamo preso due piccioni”.

Riina “fece i nomi di Falcone, che era un suo chiodo fisso fin dai tempi dell’omicidio Chinnici, e poi di Lima, di Mannino, di Purpura, di Martelli”.

In particolare, secondo Brusca, Riina imputava al fatto che Falcone fosse stato spostato a Roma – dall’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli con l’incarico di dirigere la sezione Affari Penali del Ministero – una serie di nuovi colpi a Cosa Nostra, segno evidente che la politica non rispettava gli accordi presi in precedenza con la mafia.

Da qui gli omicidi: “prima Salvo Lima – continua Brusca, ribadendo la sua versione dei fatti sull’epoca delle stragi – perché si vociferava che Andreotti aspirava a diventare presidente della Repubblica, e l’omicidio di Lima, vicino ai cugini Salvo, lo avrebbe messo in difficoltà. Si è trattato di una vendetta con effetto politico”.

La spettacolarizzazione fu un effetto collaterale. Poi ci furono le stragi per uccidere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

“All’inizio del 1992, spiega Brusca, una squadra di Cosa Nostra era in trasferta a Roma per studiare le mosse di Falcone e trovare il modo di eliminarlo: era un’idea di Provenzano ma Riina lo trattò quasi a pesci in faccia e disse che Falcone doveva morire in Sicilia. Con la strage di Falcone abbiamo messo definitivamente messo fuori gioco Andreotti, con Lima era ancora in discussione, ma con la strage di Capaci l’effetto e’ stato definitivo”, ha detto il collaboratore di giustizia.

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