I “pizzini” di Provenzano: sequestrati beni a imprenditore agrigentino

di Redazione

ProvenzanoAGRIGENTO. La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento ha confiscato beni per un valore di oltre 1 milione e 200mila euro a Giuseppe Capizzi, 46enne di Ribera (Agrigento), imprenditore, ritenuto organico a “Cosa nostra”, …

operante nella articolazione riberese della provincia agrigentina, detenuto con sentenza definitiva. Il provvedimento di confisca è stato emesso dal Tribunale di Agrigento, sulla base di indagini bancarie-patrimoniali affidate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo alla Dia. Capizzi, della “storica” famiglia mafiosa di Ribera, è figlio di Simone, quest’ultimo condannato all’ergastolo per l’omicidio di mafia del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, avvenuto ad Agrigento nel 1992.

Nel luglio del 2006 Capizzi è stato tratto in arresto, su richiesta dalla Dda di Palermo, in quanto ritenuto responsabile, in concorso con altri, del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito di Cosa Nostra, con l’aggravante di esserne il capo, promotore ed organizzatore (operazione “Welcome Back”).

Il pieno inserimento di Capizzi nell’associazione mafiosa con un ruolo di indubbio spessore è comprovato dagli stretti rapporti intrattenuti dallo stesso con Giuseppe Falsone, al vertice della cosca nella provincia di Agrigento, nonché dai “pizzini” sequestrati al capomafia Bernardo Provenzano e al boss, oggi collaboratore di giustizia, Antonino Giuffrè, concernenti un conflitto tra lo stesso Capizzi e Giuseppe Grigoli, 63 anni, concessionario dei supermercati Despar nella Sicilia occidentale e considerato il referente economico di cosa nostra trapanese, in particolare del latitante mafioso Matteo Messina Denaro.

Oltre alle indagini tecniche ed alle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, di assoluto rilievo sono stati ritenuti i cosiddetti “pizzini” sequestrati a Provenzano ed al collaboratore di giustizia Giuffrè, concernenti il conflitto sorto tra Giuseppe Capizzi e l’imprenditore nel settore alimentare Giuseppe Grigoli. In particolare, la questione era sorta in ordine ad un debito di Capizzi nei confronti di Grigoli per forniture alimentari al punto Despar di Ribera di cui Capizzi, con suo fratello Carmelo, aveva preso da Grigoli la gestione.

Della diatriba, i capi delle province mafiose di Agrigento e Trapani avevano investito Provenzano attraverso una copiosa corrispondenza. Oltre agli aspetti anzidetti, che rivelano la pericolosità sociale del proposto, le complesse ed articolate investigazioni di carattere tecnico-patrimoniale operate dal personale della sezione operativa della Dia di Agrigento hanno dimostrato la sperequazione tra i beni posseduti e nella disponibilità ed i redditi dichiarati e l’attività svolta da Capizzi.

Il provvedimento ablativo, che colpisce i beni riconducibili a Capizzi, ha riguardato cinque terreni (tra agrumeti e vigneti, uno dei quali con annesso fabbricato rurale), un’impresa agricola, un appartamento di otto vani ed una boutique nel centro di Ribera.

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