Primarie Genova, bufera dopo la sconfitta del Pd

di Redazione

Marco Doria e Marta VincenziGENOVA. “Brucia? Al massimo è un’ammaccatura”. Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commenta la vittoria di Marco Doria, in lizza per Sel, alle primarie di centrosinistra per il sindaco di Genova, che ha provocato un terremoto nei vertici locali del partito.

Il segretario regionale, Lorenzo Basso, e il segretario provinciale, Victor Rasetto, si sono dimessi. Da registrare, poi, la sfuriata via Twitter del sindaco uscente Marta Vincenzi, che ha comunque fatto meglio della candidata “ufficiale” del Pd Roberta Pinotti. Ad esultare, invece, il leader di Sel Nichi Vendola: “Non ha vinto un partito, bensì una domanda di rinnovamento.”, ha detto il governatore della Puglia, “Qui bisogna rimescolare le carte del riformismo e del radicalismo”.

Uno schiaffo che fa male al Pd come quello (e non solo) di Milano, quando Giuliano Pisapia vinse su Stefano Boeri. Certo, i fattori locali sono parecchi, dalla criticata gestione dell’alluvione alla “lotta” tra le due candidate. Ma, nel momento in cui il Pd è impegnato a sostenere il governo “lacrime e sangue” di Monti, i dirigenti nazionali temono che la sconfitta e il calo dei votanti alle primarie siano un segnale di distacco degli elettori in una città colpita dalla crisi economica e tradizionalmente di sinistra.

Bersani getta acqua sul fuoco, rivendicando una sfilza di vittorie in altre grandi città, e facendo presente che è nella logica delle primarie di coalizione che possa vincere l’outsider soprattutto se il Pd ha più candidati. “Quando si fa la scelta di partecipare alla gara con più di un candidato espressione del Pd è chiaro che se ne accettano gli esiti con serenità”, ha spiegato Bersani. Semmai, per il segretario democratico bisognerebbe impedire la frammentazione: “Sarebbe cosa buona e logica che il Pd selezionasse la sua candidatura per vie interne”. Certo, ha ammesso, “è un esito che può lasciare qualche ammaccatura però bisogna guardare avanti. E al candidato che ha vinto tocca farsi carico della pluralità dei contenuti”. Ora, ha assicurato, “ci si mette a lavorare, ventre a terra, per vincere e per vincere con Doria”. E se c’è un paragone possibile con Milano, per Bersani è tutto in positivo. “E’ di buon augurio”, ha detto, “allora dissi a Milano si vince, ora dico a Genova si vince”. Quanto alle dimissioni di Basso e Rasetto, “ci sarà il chiarimento necessario”.

Anche per Enrico Letta la frammentazione non paga: “Si perda a Genova se ci si divide e se si sottovaluta il giudizio dei genovesi sul governo della città”. Ma c’è chi, come Michele Meta, punta il dito sulle “logiche correntizie”. E chi, come Velina Rossa, chiede un congresso straordinario “per zittire la canea montante”, compresa la polemica scatenata da Eugenio Scalfari su una deriva socialdemocratica del Pd. Ipotesi bocciata da Bersani: “Lasciamo stare, guardiamo ai problemi che abbiamo davanti”. E c’è anche chi, come Pippo Civati, denuncia “un problema politico”. “E’ necessaria una riflessione profonda”, hanno chiesto i riformisti del partito vicini a Walter Veltroni. Da Matteo Renzi è arrivato poi un monito: “Non vorrei che la vicenda genovese diventasse l’occasione per bloccare il meccanismo delle primarie”. Con il 46 % dei voti Doria ha sconfitto la Vincenzi (27,5 %) e la senatrice Pinotti (23,6 %), entrambe autorevoli esponenti del Pd locale.

IL VINCITORE. 55 anni il prossimo ottobre, professore di Storia economica all’Università di Genova, Doria appartiene ad una delle famiglie più antiche della città. Suo padre Giorgio, comunista soprannominato il “marchese rosso”, fu vicesindaco nel 1974 nella prima giunta di centrosinistra con all’interno il Pci. Doria non ha mai fatto mistero di ispirarsi alla campagna vittoriosa di Pisapia a Milano. Di fronte al curriculum “organico” delle avversarie (entrambe con una storia personale di lunga militanza nel partito), ha avuto buon gioco nel presentarsi come uomo nuovo, estraneo alle nomenclature e interpretare così il desiderio di cambiamento che attraversa la politica italiana. Il vincitore delle primarie, tra l’altro, ha incassato la benedizione del prete di strada Don Andrea Gallo, figura assai popolare in città.

LO SFOGO SU TWITTER DELLA VINCENZI. Un attacco a trecentosessanta gradi, sferrato a colpi di durissimi tweet quello del sindaco uscente Marta Vincenzi, sconfitta alle primarie. Contro il vincitore Marco Doria, don Gallo, il Partito Democratico, l’ex sindaco Giuseppe Pericu, e un sistema di potere dipinto come “maschilista” e totalmente refrattario ai cambiamenti. “La grande vittoria di Marco Doria? Un referendum contro il Pd”, scrive la Vincenzi, che, indossando i panni della femminista dura e pura, si paragona persino a Ipazia, la matematica, astronoma e filosofa vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il 350 e il 400 dopo Cristo, uccisa durante una rivolta. “A lei – twitta Vincenzi – è andata peggio: oggi le donne riescono a non farsi uccidere quando perdono”. Se la prende, poi, con il “voto anti-casta” che ha premiato Doria, dipinto come un “predicatore”, che avrebbe fatto leva su un certo qualunquismo (“Sono tutti uguali”) contrapposto “all’onesta fatica del riformismo vero”. Nessun cenno a Roberta Pinotti, affossata più di lei alle primarie. Ma non dimentica don Gallo, “reo” di aver sostenuto Doria: “Chissà dove sarebbe stato ai tempi di Ipazia”, altro tweet della Vincenzi. Evocato anche l’ex sindaco Pericu in un crescendo di domande che portano sempre allo stesso nodo: “Del resto – si chiede retoricamente Vincenzi – una donna che cosa ne capisce (del bilancio, della sosta a pagamento, di Fincantieri, ndr)? Penserà mica di essere meglio degli amministrativisti che l’hanno preceduta?”. Ne fa, anche, una questione culturale: “Da maggio non ci sarà più un sindaco donna in nessuna grande città italiana”.

Scrivici su Whatsapp
Benvenuto in Pupia. Come possiamo aiutarti?
RedazioneWhatsappWhatsApp
Condividi con un amico