Egitto, allerta per il Natale copto del 7 gennaio

di Pina Vitolo

 ALESSANDRIA D’EGITTO. In Egitto c’è uno stato di massima allerta in attesa del Natale copto, che ricorre il 7 gennaio, dopo la strage di Capodanno che ha ucciso 21 persone e ne ha ferite 79 all’uscita della chiesa.

Intanto, la polizia ha deciso di rafforzare la sicurezza in prossimità dei luoghi sacri, impedendo ai suoi alti ufficiali di partire e intensificando la sorveglianza nei porti e negli aeroporti, per evitare che persone sospette di essere coinvolte nell’attentato lascino il paese, dove sono stati allestiti anche vari posti di blocco. Il Natale copto ricorre venerdì, giorno di preghiera e riposo per i musulmani, e Shenouda ha annuciato di voler celebrare messa come da tradizione. “Non pregare significherebbe che il terrorismo ci ha privati dal celebrare la nascita di Cristo”, ha detto il religioso citato dal quotidiano al-Ahram.

La strage di Capodanno ad Alessandria d’Egitto è stato “un atto di codardia” diretto a far scoppiare una guerra civile: è questo il giudizio di Fathi Sorour, presidente dell’Assemblea del Popolo, una delle due camere del Parlamento egiziano, il quale ha lanciato un appello alla moderazione alla comunità copta, dopo le violente manifestazioni scoppiate negli ultimi giorni. A riferirlo è il quotidiano egiziano Ahram. Anche il ministro per gli Affari parlamentari, Moufid Shehab, ha esortato i copti a non cadere vittima della strategia destabilizzante dei terroristi. “Si tratta di un attacco atroce che è alieno dai valori di tolleranza della società egiziana”, ha sottolineato Shehab, affermando che l’attentato “mira a destabilizzare l’Egitto e a distruggere la vita dei cristiani così come quella dei musulmani”. Ci sono almeno tre motivi che spingono i fondamentalisti islamici ad attaccare le comunità cristiane che vivono in Medio Oriente. Due sono di portata internazionale e uno riguarda più strettamente l’Egitto.

La prima è quella che vede nei cristiani una sorta di quinta colonna dell’Occidente. Condividere la stessa religione, agli occhi della propaganda islamista, significa in qualche modo rappresentare una sorta di cavallo di Troia in seno al mondo islamico. E’ una teoria non nuova: essa risale addirittura agli ultimi decenni di vita dell’Impero Ottomano, quando le minoranze greco-ortodosse e quella armena erano viste come la longa manus dei greci e dei loro sostenitori (inglesi e francesi) per quella ortodossa e dei russi per quella armena.

Questa teoria ha ripreso vita durante gli scontri interconfessionali in Libano ed è stata rielaborata non solo dai jihadisti di Al Qaeda, ma dai loro occulti sostenitori, vale a dire i wahhabiti dell’Arabia Saudita (che continuano a sostenere con larghe elargizioni i movimenti fondamentalisti in mezzo mondo). Non potendo colpire facilmente l’Occidente ci si accanisce contro i loro “rappresentanti” in loco, appunto i cristiani, che sono visti, non più come i rappresentanti di una fede riconosciuta (uno dei popoli del Libro, come affermato dal Corano), ma come infedeli quinta colonna del nemico occidentale. La seconda motivazione è di origine più prettamente sociale. I cristiani, di solito, appartengono a strati borghesi della società, relativamente benestanti. Il che è sufficiente, agli occhi delle grandi masse arabe diseredate e poverissime, a indicarli come nemici, non solo sul piano religioso e internazionale, ma anche come coloro che godono di un benessere negato ai più. C’è poi un fatto preoccupante che dovrebbe balzare agli occhi degli osservatori: il grado di efficienza raggiunto dai terroristi anticristiani. Nelle stesse ore in cui veniva perpetrata la strage di Alessandria dì Egitto ben dodici attentati simultanei venivano portati a Bagdad contro abitazioni di cristiani. Una prova di efficienza e di forza preoccupante. Per quanto riguarda le motivazioni locali, in Egitto operano certamente gruppi fondamentalisti legati ad Al Qaeda e soprattutto ai resti della Jamaa al-Islamiyya, alleata con Ayman al Zawahiri, il medico egiziano vice di Bin Laden, ma essi trovano complici, non solo tra gli strati popolari egiziani ma nella stessa macchina statale.

Il loro progetto è chiaro: spingere allo scontro frontale e violento la comunità islamica e quella copta, in modo da creare una situazione di instabilità nel Paese e da mettere in difficoltà il regime dell’odiato Mubarak. Un progetto che può anche riuscire. Da un alto le masse egiziane sono manipolabili tramite calunnie sparse ai danni dei copti. Dall’altro i cristiani di Egitto non ci stanno più a giocare il ruolo delle vittime passive e, sempre più spesso, si dimostrano pronti al confronto duro con i musulmani. Una situazione potenzialmente esplosiva, su cui contano molto gli architetti del terrore. Non potendo attaccare il governo di Mubarak (il cui apparato repressivo è fortissimo, salvo che nella zona del Sinai), essi cercano di minarlo nelle piazze, per poi trasformare lo scontro religioso e il caos che ne seguirebbe in attacco al potere.

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