Fecondazione assistita: Schifani e Cesa attaccano Fini

di Redazione

Schifani-FiniROMA. Il presidente del Senato, Renato Schifani, difende la legge 40 sulla fecondazione assistita dopo la decisione della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato illegittime alcune parti e dopo le dichiarazioni rilasciate dal presidente della Camera Gianfranco Fini.

Quest’ultimo, nella giornata di ieri, ha definito quella della Consulta “una sentenza che rende giustizia alle donne”, sottolineando che “una legge basata su dogmi etico-religiosi è sempre suscettibile di censura di costituzionalità”.

Da Herat, in Afghanistan, dove si trova per un passaggio di consegne fra i militari italiani, Schifani osserva che “una legge, quando affronta un dibattito lungo e tanti passaggi parlamentari con voti segreti nei quali si vota secondo coscienza e non sulla base di dogmi, è una buona legge, di libertà anche perché non vi può essere alcuna ingerenza dei partiti o di altri”. “La Corte Costituzionale – aggiunge il presidente del Senato – sta lì a vigilare sui principi. Devo dire che la legge sul testamento biologico e la legge 40 hanno visto tanti voti segreti, nei quali il parlamentare vota secondo coscienza e secondo il suo credo religioso, ma da qui a parlare di dogmi, troverei qualche difficoltà”.

Per la seconda carica dello Stato, – che ricorda anche come nel caso dell’approvazione della legge 40 ci sia stata una convergenza “superiore alla maggioranza di cartello” – non vi è alcun rischio di una trasformazione dell’Italia in Stato etico: “Stato laico significa non rinunziare alle proprie responsabilità tutte le volte che ci si rende conto che ci sono vuoti normativi da colmare. Quindi personalmente – conclude – non riscontro nella legge sul testamento biologico o nella legge 40 la presenza di una eticità della vita parlamentare, così come in tutte quelle leggi approvate con voti segreti. Lì sono le coscienze che decidono non i dogmi”.

Intanto, oggi, contro Gianfranco Fini è intervenuto anche il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, il quale lo ha invitato a dimettersi dalla carica se vuole proseguire “nelle sue battaglie ideologiche”.

Ma la replica del numero due del Pdl non si è fatta attendere: “Se l’onorevole Cesa rileggesse l’articolo 134 della Costituzione, comprenderebbe che il doveroso rispetto del Parlamento non impedisce ad un supremo organo costituzionale, qual è la Consulta, di valutare la legittimità delle leggi. Di conseguenza, non può destare scandalo esprimere valutazioni sulle pronunce stesse della Corte Costituzionale”.

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