“Cubo d’oro” alla carriera per l’architetto Chipperfild

di Redazione

David Chipperfild NAPOLI. David Chipperfild è stato premiato con il Cubo d’Oro alla Carriera nell’ambito degli Annali dell’Architettura.

Chipperfield – da almeno vent’anni protagonista di primo piano della scena internazionale con progetti realizzati in tutto il mondo come Gotoh Museum a Chiba in Giappone (1991), Toyota Auto a Kyoto (1990), River And Rowing Museum (1997) a Henley-on-Thames, Ernsting Service Centre (2001) a Coesfeld-Lette in Germania, lo studio Gormley (2003) a Londra – sta completando a Salerno la Cittadella della Giustizia.

Cosa pensa allora di Salerno, è davvero una città ben amministrata come si tende a credere?

DC: Penso che Salerno sia una città che negli ultimi dieci anni, attraverso una serie di piccoli ma intelligenti passi basati su una visione pragmatica, abbia cominciato a dare forma materiale ad ambizioni più grandi, realizzando progetti urbani di una certa importanza come la Cittadella Giudiziaria. Penso che il sindaco Vincenzo De Luca sia un amministratore che abbia una visione limpida della città, una visione chiara delle potenzialità esistenti sul territorio che amministra. Per questo, grazie a questa visione, è riuscito a migliorare la qualità della vita dei cittadini.

E Napoli? DC: Non ho mai lavorato a Napoli, mi riesce faticoso capire la situazione partenopea e dare un giudizio sull’amministrazione napoletana. In ogni caso è difficile, dall’esterno, percepire il livello di crisi di questa città: Napoli è una città che riesce sempre a sorprendermi per la sua grandissima vitalità. Si tratta di una città fantastica per geografia, per orografia, per stratificazione nel tempo, per vivacità culturale, soprattutto per quell’insieme di umanità, urbanità e cultura che si legge nelle sue pieghe e nelle sue stratificazioni. Venendo dal nord si è sempre attratti da una città fatta di eccessi, di paradossi, di vita.

Come sta cambiando l’architettura nel mondo anche a seguito delle ultime grandi trasformazioni economiche e sociali? DC: Il grande cambiamento di questi ultimi anni è quello di considerare la città non più come l’elemento centrale dell’attenzione e della discussione. Essa è stata sostituita da alcuni grandi edifici – Edifici Icona – che hanno catalizzato tutta l’attenzione degli architetti e del pubblico. In questo vi è di positivo il fatto che sicuramente c’è maggiore interesse da parte del grande pubblico per l’architettura, però d’altro canto, l’architettura ha perso come centro d’interesse quelle che sono le esigenze e le aspirazioni della gente nella città, facendo diventare la forma, l’immagine, la ragione principale del suo esistere.

Come si pone l’architettura italiana in questo contesto internazionale? DC: Se guardiano agli anni del secondo dopoguerra l’Italia ha dato un contributo importantissimo alla cultura architettonica mondiale. Se pensiamo alla visione del moderno che l’Italia ha dato negli anni ’50 (figure come Gio Ponti, Franco Albini, Vico Magistretti), ma anche dopo, negli anni ’70 (Manfredo Tafuri, Aldo Rossi), ci accorgiamo che c’era una profondità di consapevolezza nel ruolo dell’architettura oggi completamente perduta. Mi domando se esistano paesi che stiano contribuendo oggi a quel livello: forse il Portogallo, la Spagna, la Svizzera, il Giappone. Non l’Italia, anche se ci sono talenti. Forse manca un sistema che faccia tornare l’architettura al centro della società come è stato in passato.

dal Corriere del Mezzogiorno (Diego Lama)

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