Il disegno di legge semplificazioni approvato lo scorso mese di agosto dal Consiglio dei ministri sulle regole di utilizzo del combustibile da rifiuti Css negli impianti produttivi – anche se il testo definitivo che sarà inserito nell’iter di conversione non è ancora noto, nonostante alcuni roboanti comunicati stampa di addetti ai lavori – punterebbe ad alleggerire la disciplina per l’impiego del Css soprattutto nei cementifici. Una novità normativa che, presentata su più fronti come un grande traguardo, desta legittime preoccupazioni sulla reale ricaduta che la stessa potrà avere sull’economia circolare.
Il direttore generale del consorzio dei rifiuti dei beni in polietilene Polieco, Claudia Salvestrini, non esclude che la liberalizzazione del css-combustibile possa ripercuotersi negativamente sulla filiera del riciclo e della produzione di manufatti in plastica riciclata, che negli ultimi anni, anche se non sempre con grande successo, è stata al centro di azioni legislative tese a favorire un utilizzo di materia prima riciclata. “Lo ripetiamo come un mantra da sempre, è necessario che il comparto del riciclo si fondi su una raccolta dei rifiuti, soprattutto per quelli plastici, basata sulla qualità e non sulla quantità. Solo così – afferma Salvestrini – si può pensare di mantenere bassi i costi del granulo da riciclo”.
Il meccanismo al quale si riferisce la direttrice del Polieco riguarda la raccolta di rifiuti plastici spesso con grandi quantità di frazione estranee, anche nel ciclo della raccolta urbana, che impone elevati costi di selezione e trattamento finalizzati all’ottenimento di materiali omogenei destinati alla trasformazione per la produzione di manufatti in plastica riciclata, che rischia così di non essere concorrenziale. Da questa convinzione, la scelta del Polieco di orientare il modello di gestione dei rifiuti verso una raccolta di qualità, in grado di consentire agli impianti di riciclo una lavorazione con una piccola percentuale di scarti. “Sono ben consapevole – dice Salvestrini – che il lavoro di altri consorzi, soprattutto di chi opera nel settore della raccolta urbana dei rifiuti plastici, sia molto più complesso ma ritengo che inviare gli scarti ai cementifici non sia la strada giusta se davvero si vuole puntare sull’economia circolare. E poi dovremmo chiederci in che modo si pone l’Italia, all’interno dello scenario europeo, dove invece sono molto più stringenti le procedure sulla qualificazione end of waste di un combustibile che proviene dai rifiuti”.
Salvestrini traccia anche il fallimento di “una politica industriale favorevole all’utilizzo del Css nei cementifici, che ha spinto il Legislatore anche ad emanare, nel 2013, il “regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (Css). I numeri parlano chiaro: nel 2023, ad esempio – sottolinea Salvestrini – si è prodotta una quantità di Css – combustibile (end of waste), pari a meno di 120 mila tonnellate utilizzate per la gran parte in soli tre cementifici.
Ciò che sorprende è che, proprio coloro che promuovono il disegno di legge sulla liberalizzazione del css – incalza la direttrice del Polieco – siano gli stessi soggetti imprenditoriali che potrebbero tranquillamente produrre il combustibile, in virtù delle autorizzazioni in possesso, ma che non lo fanno. Ci sarebbe da chiedersi perchè ci si sottrae al regolamento e anche “perché, l’articolo 183, comma 1, lettera cc) del Tua definisca il “combustibile solido secondario (Css)” come il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche Uni Cen/Ts 15359 e successive modifiche ed integrazioni, quando la norma Uni citata non è stata modificata ma abrogata dalla norma UNI 21640:2021, la stessa norma che deve essere acquistata per poter essere disponibile, tra l’altro solo in lingua inglese”. A queste perplessità si aggiunge la necessità di “un’azione di trasparenza e di controllo di autorizzazioni rilasciate da autorità ambientali non particolarmente competenti, attraverso le quali impianti di asserito recupero possono cambiare codice ai rifiuti senza effettuare alcun trattamento fisico – chimico o meccanico”.