Architettura organica, Costanzo: “Il Centro di socializzazione per disabili a Capodrise”

di Redazione

di Salvatore Costanzo – Dopo la recente disamina sui principi ispiratori e i caratteri formali dell’edificio scolastico De Sanctis di Marcianise, ecco una nuova trattazione per un’altra pagina di “architettura organica”, anch’essa destinata all’area casertana: il progetto esecutivo per il primo “Centro di socializzazione per disabili” in Campania, redatto da chi scrive (con L. Petrella, A. Squeglia), e approvato dal Consiglio comunale di Capodrise agli inizi del 1989 (1). Queste due opere – che segnarono la fase iniziale del mio percorso professionale denso di ricerche, soluzioni progettuali e realizzazioni in differenti sfere produttive dell’architettura sociale – esprimono episodi significativi sotto il profilo dell’innovazione, della peculiarità del linguaggio organico e delle scelte tipologiche adottate sullo scorcio del decennio ‘80.

Risalgono a quegli anni i miei primi contatti con un sensibile e paziente giornalista, Pio Iannitti (col quale ho condiviso per oltre un trentennio capacità ed energie, e tappe di ampia risonanza culturale), che ricordo sempre in prima fila sulle problematiche delle persone con disabilità nei diversi contesti familiari e sociali. Un mio studio per una proposta progettuale di una “Casa famiglia per disabili”, fu una delle prime occasioni dei nostri incontri, e rappresentò l’inizio di una cordiale frequentazione e di un proficuo arricchimento professionale su vari risvolti di questa complessa materia. Dopo numerosi incontri e riflessioni sull’impostazione del progetto sopracitato (corredato da molte considerazioni su temi quali l’integrazione sociale e l’abbattimento delle barriere architettoniche per i disabili), fui invitato a partecipare ad un importante convegno sull’Handicap tenutosi nella primavera del 1988 nel Palazzetto dello sport di Caserta (2).

Di lì a poco, prese corpo un progetto ben più complesso e articolato, incentrato sull’insediamento a Capodrise di strutture destinate alle persone diversamente abili: un “Centro Polivalente di socializzazione”, un’opera singolare che richiese un ponderoso corpus di tavole progettuali (oltre 30 elaborati), in grado di sviluppare un discorso estremamente innovativo sul nodo culturale dei disabili, che come scriveva a riguardo il Iannitti, “in mancanza di strutture idonee e polivalenti in tutta la Campania, devono rivolgersi a strutture del Nord Italia o addirittura all’estero, con tutte le conseguenti complicanze sia individuali che familiari”. Ed aggiungeva: “Di non minore rilevanza è l’onere economico a carico delle unità sanitarie locali per queste necessarie e indispensabili migrazioni che la realizzazione di questo centro eviterebbe, con conseguente beneficio di tutta la comunità, organi istituzionali compresi”(3).

L’idea di un Centro Polivalente a Capodrise, con funzioni riabilitative, socializzanti e di avvio al lavoro per persone diversamente abili, insisteva sull’utilità e la necessità di un intervento a grande scala, riconoscendo la possibilità – per i modelli convenzionali di progettazione sociale – di un complesso sovracomunale che apparisse ben rappresentato nelle relazioni fisiche, negli obiettivi culturali e nel configurare l’esperienza di una particolare comunità. Tali caratteri venivano individuati, a diverso grado di compiutezza, nel mio primo ciclo di studi e ricerche attraverso una serie di proposte basate sull’integrazione tra progetto e luogo, e in alcuni indispensabili approfondimenti sul rapporto tra articolazione architettonica e “modello comunitario”. Questo lavoro costituiva la base della stesura dell’opera da realizzare, per la quale andavano considerati tre punti essenziali: la particolare condizione degli spazi, il rilievo assegnato al rapporto tra struttura e psicologia degli utenti, l’articolazione dell’impianto da intendere non come un mondo chiuso, ma aperto sia verso l’interno che verso l’esterno: un unico spazio dove muoversi, imparare a sollecitare la propria psiche, rieducare i centri motori. Il senso della inedita struttura richedeva, dunque, un’architettura di forte rilevanza umana, che bene si inserisse con le proprie forme nell’ambiente circostante destinato ad accogliere l’intero complesso architettonico.

Non a caso, nel rivisitare oggi il progetto di Capodrise, emergono alcune importanti considerazioni sulla genesi di quelle determinate forme del “linguaggio organico”: in primis, la risultanza di uno studio desunto da una accurata raccolta di fonti – molto diverse tra loro -, tra cui va evidenziata la fondamentale lezione di Frank Lloyd Wright, insieme alle reminiscenze di altri valenti professionisti dell’organicismo italiano, come ad esempio Manfredi Nicoletti. Ma ciò che importa mettere in luce da chi scrive è la decisione, ancora una volta, di abbandonare un’interpretazione statica della planimetria e muoversi verso una concezione capace di leggere l’insieme del piano terreno con la percezione dei luoghi esterni come figure reciproche, entrambe coinvolte in un processo di fondazione della realtà ambientale circostante. La matrice dinamica dell’intero complesso, lasciata più libera rispetto al precedente lavoro di Marcianise (Scuola elementare De Sanctis), qui diviene la base organica della composizione che, in maniera più sciolta, trae ispirazione dalla natura al pari del suo modello strutturale e del suo modo di svilupparsi. Guardando l’opera di Capodrise da vicino, l’assetto della forma architettonica è da accostare ad una tra le tante affascinanti immagini del mondo marino: il riferimento più evidente è quello di un “granchio” (birgus latro). Ed è proprio il processo di definizione della forma di questo crostaceo a suggerire all’esterno del Centro Polivalente un’alternativa “organica” alle volumetrie, partendo dal nucleo centrale ed espandendosi fino a fuori dall’impianto delle strutture. Anche questa architettura – del resto come quella di Marcianise – si allontana dall’inerte meccanismo di sviluppare solo dei contenitori chiusi in se stessi “da accostare”, ma coinvolge ogni sua parte in una fluida continuità.

Occorre riconoscere, inoltre, che il complesso di Capodrise utilizza geometrie di grande impatto visivo e spaziale, per stabilire all’interno le relazioni di ogni singola persona disabile con la comunità, e della comunità con il territorio. Gli interni si sviluppano secondo un modello comunitario-riabilitativo in cui il nucleo centrale della vita sociale è pensato attraverso la fusione di spazi organizzati intorno ad esso e la loro estensione verso l’esterno; tutto lungo due direttrici incernierate in un fulcro, in linea con le ricerche planimetriche secondo assi a “V” (il primo attraversa il reparto-riposo e giunge fino alla palestra auditorium; il secondo, dalle attività-ricreative prosegue fino all’auditorium, incrociandosi a 45° con l’allineamento precedente).

La validità di quanto sostenuto è provata dalla funzionalità delle diverse parti volumetriche che si presentano ben intersecate ed articolate. Sono molte le zone della costruzione estremamente variegate, piene di luce e verde.  Dai settori che ruotano intorno al reparto della fisioterapia, si diramano le varie aule speciali per i lavori manuali, per la musica, per i lavori domestici, la biblioteca; gli ambienti sono aperti al pubblico al fine di favorire l’interazione tra i soggetti minorati e i sani. Completano il quadro delle strutture la piscina attrezzata, la mensa con annessa cucina, e vari uffici e servizi. Un cenno a parte merita, all’esterno, lo spazio diviso in vari cortili chiusi e protetti, insieme ad aree più aperte (in parte pavimentate, in parte ricoperte da prato e alberi) attraversate da campi da gioco, in perfetta armonia con lo scenario circostante. Eloquente nella sua concezione tipologica, l’impianto del Centro di socializzazione di Capodrise rivela nelle sue componenti linguistico-formali elementi eterogenei che confermano lo spirito di assoluta adesione per l’architettura organica (4).

Note – (1) L’incarico della Giunta Municipale di Capodrise risale al 5. 1. 1989, delibera n. 15; seguì la ratifica con delibera di C.C. n. 19 del 24. 2. 1989. Il progetto fu approvato con delibera n. 20 del 1989, esecutiva. (2) Su questo argomento, cfr. il Giornale di Napoli, 17 maggio 1988, p.10, I disabili chiedono una “casa famiglia”. Giornata di riflessione delle associazioni di assistenza ai portatori di handicap. Costanzo illustra l’esigenza di abolire le barriere architettoniche (di P. Iannitti). (3) Cfr. P. Iannitti, il Giornale di Napoli, 9 marzo 1989, p.13. (4) In realtà dopo il lavoro del Centro Polivalente a Capodrise, la ricerca sulla “architettura organica” di chi scrive – incentrata su una nuova libertà progettuale delle forme della natura – proseguì verso l’espressione più completa. Le esperienze condotte per una serie di interventi tra il 1989 e il 2002 evidenziarono un capitolo interessante su una diversa gamma di strategie figurative, ma che privilegiarono sempre l’idea organica di integrazione tra progetto e luogo. I primi significativi interventi furono quelli destinati al registro linguistico del territorio domiziano (cfr. Impianto della Stazione di Teleferica a Sessa Aurunca e Centro studi e Congressi a Roccamonfina, in S. Costanzo, P. Farina, Il Piano Domitio, Clean Edizioni, Napoli 2001, pp. 99-105; 107-109).

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