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Liceo Cirillo: Non sono pentito ma non è colpa mia
AVERSA. «Non è possibile che si crocifigga una persona senza ascoltare le sue ragioni. Quando il preside mi ha visto sulla porta del suo ufficio ha iniziato a gridare e si è precipitato contro di me. È stato un attacco dal quale mi sono difeso, più per paura che per aggredire».
Antonio Bellopede, il genitore accusato di aver aggredito, nella mattinata di venerdì, il dirigente scolastico del liceo classico «Domenico Cirillo» di Aversa Giancarlo Di Grazia, è amareggiato per quanto hanno scritto i media e riferisce la sua verità «fosse solo per meglio comprendere quanto avvenuto. Anche perché – spiega l’uomo che per l’episodio è stato denunciato in stato di libertà – nessuno si è chiesto quanta cattiveria c’è nell’infrangere il sogno di un ragazzo». Quel ragazzo, suo figlio, bocciato in quinta ginnasio e costretto a dire addio per ora all’ipotesi di accedere alla Nunziatella. Bellopede, commerciante di Frignano, titolare di una stazione di distribuzione di gas per autotrazione, ricorda che «sono ben due i figli che mi sono stati bocciati. Sulla ragazza in prima liceo non ho nulla da eccepire, non studia troppo. Il maschio, invece, che frequenta la quinta ginnasiale, era certo di essere promosso e anche noi con lui». Una persona distrutta, che afferma di non aver avuto assolutamente la volontà di aggredire il dirigente del Cirillo. «Quando me lo sono visto arrivare vicino gridando come un ossesso – dice – senza aver nemmeno risposto al saluto, insomma, comportandosi in maniera più che sgarbata, ho pensato che volesse lui aggredirmi e lì è nata la lite. Quindici giorni fa – riprende Bellopede – mia moglie si è recata al «Cirillo» e ha chiesto informazioni sull’andamento scolastico del ragazzo, informando i docenti che aveva superato, a Foligno, i test di ingresso per frequentare la Nunziatella, il sogno di una vita. I professori hanno affermato che non c’era alcun problema, forse solo due debiti. Alla cena di fine anno hanno anche fatto gli auguri a mio figlio invitandolo a farsi vedere in divisa il prossimo anno. Invece, al momento di decidere tutto quanto mi è stato detto non è risultato più vero». Da questo momento Bellopede ha cercato di capire: «Ma mio figlio ha preso la sufficienza e il vicepreside mi ha anche mostrato i voti sul registro. A questo punto – conclude il genitore – mi sono deciso ad andare a parlare con il preside per chiedere spiegazioni. Per due giorni non sono riuscito a farmi ricevere. Solo il vicepreside mi ha ascoltato. Venerdì mattina – prosegue il racconto dell’uomo – sono andato a scuola e il preside era solo nel suo ufficio: mi sono affacciato e, dopo aver salutato senza che mi fosse risposto, ho chiesto se poteva dedicarmi cinque minuti del suo tempo. Mi aspettavo che mi avrebbe rincuorato almeno, sono un contribuente, pago le tasse e credevo di aver diritto di essere preso in considerazione. Invece il preside ha iniziato a gridare e si è lanciato verso di me che ero ancora sulla porta. Ho avuto paura che volesse attaccarmi. Non so cosa mi è preso, ho reagito ed è accaduto quello che è accaduto. Ma non sono pentito, perché credo che la colpa di quanto si è verificato non sia assolutamente mia. Sarebbe bastata una parola di conforto, invece solo scortesia e maleducazione».
Il Mattino (NICOLA ROSSELLI )
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