Mafia, 8 arresti contro famiglia dell’Arenella: c’è anche il boss che saliva in barca col Santo

di Redazione

La Direzione investigativa antimafia di Palermo con l’operazione “White Shark” ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 8 soggetti, ritenuti, a vario titolo, responsabili di associazione mafiosa, estorsione aggravata in concorso, intestazione fittizia aggravata ed altro. Sette di essi sono stati tradotti in carcere; per uno è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari. Gli indagati sono ritenuti organici ovvero contigui alla famiglia mafiosa dell’Arenella-Vergine Maria di cosa nostra di Palermo.

Il giudice ha accolto la conforme richiesta avanzata dalla Procura distrettuale di Palermo (procuratore aggiunto Salvatore De Luca e sostituti Amelia Luise e Laura Siani), la quale, concordando sulle risultanze investigative e sulla univocità e gravità degli elementi probatori acquisiti, aveva riconosciuto la fondatezza degli indizi raccolti dal centro operativo della Dia di Palermo nel corso delle indagini. Quattro dei provvedimenti eseguiti riguardano esponenti della famiglia Scotto: i tre fratelli Gaetano, Pietro, Francesco Paolo nonché Antonino, figlio del precedente. In particolare, Gaetano di recente è stato destinatario di un “avviso di conclusione indagini”, in quanto oggetto di investigazioni, svolte sempre dalla Dia di Palermo in altro procedimento, finalizzate all’identificazione dei mandanti e degli esecutori materiali del duplice omicidio dell’agente della Polizia di Stato Agostino Antonino e della moglie Giovanna Ida Castelluccio, avvenuto nella zona di Villagrazia di Carini (Palermo) il 5 agosto 1989.

Le investigazioni, condotte con tradizionali metodi investigativi, hanno orbitato principalmente intorno a Gaetano Scotto, il fratello Francesco Paolo ed ai loro familiari. Fin dai primi elementi raccolti era possibile constatare come Gaetano Scotto, subito dopo l’uscita dal carcere, avesse ripreso la guida della famiglia mafiosa dell’Arenella, una delle più rappresentative del mandamento di Palermo-Resuttana, capeggiato dai fratelli Madonia. Le attività tecniche di ascolto, corroborate da servizi di osservazione dinamica sul territorio, hanno consentito di ricostruire, nonostante tutte le cautele e le accortezze poste in essere da Scotto, la complessa ed articolata rete relazionale dallo stesso dispiegata nonché le dinamiche interne al sodalizio mafioso di riferimento. Nonostante il ricorso ad un atteggiamento prudente, dalle acquisizioni d’indagine la Dia poteva confermare un progressivo e cauto reinserimento di Scotto nel suo quartiere all’indomani della scarcerazione, con il pieno recupero del suo ruolo e della sua autorità all’interno di Cosa nostra.

Scotto dimostra di essere il referente per la risoluzione di ogni tipo di problema prospettatogli dalla popolazione del quartiere; ha il pieno controllo delle attività economiche che vi vengono esercitate; organizza e coordina le attività estorsive; mantiene rapporti con esponenti di altre famiglie mafiose; sostiene i parenti degli affiliati detenuti. Scotto ha l’abitudine di dare risposte o impartire ordini in maniera si potrebbe definire “itinerante”: evitando ogni luogo al chiuso e camminando lungo le strade del quartiere; approfittando di incontri fugaci ed occasionali per impartire le proprie direttive senza mai nominare l’interlocutore e proferendo le parole strettamente necessarie per conferire un assenso (ad esempio all’apertura di un’attività commerciale) ovvero un diniego. Nel corso delle indagini si è evidenziato il ruolo carismatico di Scotto, il quale ha dimostrato (come peraltro riconosciutogli anche da altri uomini d’onore appartenenti addirittura ad altri mandamenti palermitani) di saper gestire il ruolo riconosciutogli e la sua influenza territoriale ponendosi al di fuori delle ordinarie dinamiche di cosa nostra, evitando incontri, riunioni ed altre relazioni suscettibili di sovraesposizione.

Documentate proposte per investirlo di alte cariche di vertice più prestigiose all’interno dell’organizzazione, in realtà sempre declinate da Scotto, in attesa di chiarire le proprie vicende giudiziarie pendenti: ”…mi hanno chiesto di fare il capo mandamento …ma sono pazzi! Io devo ringraziare il Signore di essere uscito …non se ne parla proprio…!”. Attraverso un’oculata e sagace gestione della “propria famiglia di appartenenza”, Scotto è tornato ad occupare quel ruolo di vertice in realtà mai abbandonato negli anni, poiché  gestito, in sua assenza, sia dai fratelli Francesco Paolo e Pietro, sia da altri uomini d’onore, fedeli alla sua persona, che hanno retto il sodalizio mafioso durante la sua assenza. Scotto, detenuto nella casa circondariale di Roma-Rebibbia, veniva scarcerato il 21 gennaio 2016. Al suo rientro all’Arenella ha trovato un intero quartiere ad attenderlo, pregno di devozione e di rispetto, documentati, ad esempio, nel corso della festa di Sant’Antonio da Padova, patrono della borgata marinara dell’Arenella, tenutasi il 13 giugno 2016.

Nel corso di un colloquio telefonico con l’allora fidanzata Giuseppina Marceca, Scotto interrompeva la conversazione affermando che lo avevano avvisato che per fare passare il Santo “aspettavano lui”. Come se non bastasse, i due fidanzati salivano a bordo di un peschereccio, a bordo del quale veniva posizionata la cosiddetta “vara del Santo” per essere trasportata via mare secondo le regole della processione che, peraltro, vietano in maniera categorica che a bordo dell’imbarcazione possano salire persone diverse dal sacerdote che officia la funzione e dalla banda musicale. Scotto è certo di essere rispettato nella sua borgata anche per la conduzione della famiglia mafiosa, secondo la percezione degli abitanti del posto “gestita in maniera oculata ed equilibrata”. Sempre alla Marceca, infatti, Scotto confidava come tutti fossero contenti del suo modo di agire:”…tutti sono contenti perché io vengo nel giusto…”, lasciando intendere che tutti coloro che pagano il pizzo, lo fanno come una sorta di atto dovuto nei confronti di quest’ultimo, dal momento che non approfitta delle condizioni economiche, magari disagiate, degli esercenti di attività commerciali. Ed infatti, Scotto non ha mai avuto bisogno di avvalersi delle tipiche tecniche intimidatorie di natura estorsiva, limitandosi solamente a ricevere quello che i commercianti, per il solo rispetto del potere derivantegli dal rango rivestito, erano disposti a versare a titolo di “pizzo”.

L’attività investigativa svolta dalla Dia con il coordinamento della Procura Distrettuale di Palermo ha consentito di provare la posizione direttiva in ambito criminale di Gaetano Scotto attraverso i suoi rapporti con soggetti italo-americani, rappresentanti delle più potenti famiglie di cosa nostra d’Oltreoceano, già oggetto di indagini da parte di Fbi e Dea. In uno degli incontri con Leonardo Lo Verde, questi riconosce la scaltrezza e l’abilità con le quali Scotto si è defilato, allontanando da sé ogni attenzione investigativa, e definisce entrambi “mafiosi di rango superiore”. E’ emerso un importante spaccato sulla gestione delle concessioni e sul controllo di alcune attività imprenditoriali nel corso degli anni da parte della famiglia dell’Arenella, in grado di “autorizzare ed indirizzare” l’apertura di imprese commerciali e la gestione del commercio ambulante. Il carisma di cui gode Scotto all’interno di cosa nostra palermitana, lo hanno portato ad essere influente nei riguardi di altre famiglie mafiose, anche se appartenenti a mandamenti diversi. Le indagini svolte, infatti, hanno permesso di evidenziare gli stretti rapporti intrattenuti con altri uomini d’onore. La Dia ha proceduto, inoltre, al sequestro preventivo del “White Club”, un pub alla moda situato in via cardinale Guglielmo Massaia 7, cioè all’interno del rimessaggio “Marina Arenella” di Palermo. IN ALTO IL VIDEO

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