Benevento, finta bomba in tribunale per evitare processo a latitante: nei guai una 32enne

di Redazione

La Procura di Benevento ha formulato richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti di una 32enne beneventana, per i reati di minaccia aggravata al corpo giudiziario, procurato allarme all’autorità, interruzione di pubblico servizio, favoreggiamento personale e sostituzione di persona.

I fatti si riferiscono al collocamento di un finto ordigno, costituito da un candelotto in cartone nastrato a forma di dinamite da cui fuoriuscivano dei fili a mo’ di innesco a distanza, rinvenuto in uno dei servizi igienici del Tribunale di Benevento il 20 dicembre 2016, a seguito di due telefonate minatorie, ed alla latitanza del condannato Paolo Messina Junior. Le complesse indagini, disposte dalla Procura sannita ed effettuate dalla Squadra mobile del capoluogo, anche attraverso attività tecniche, hanno permesso di accertare che il cellulare utilizzato dall’ignoto interlocutore, per segnalare la presenza della finta bomba, fosse proprio nella disponibilità della donna che intratteneva una relazione sentimentale con il citato Messina.

Il movente del gesto era, evidentemente, quello di evitare che in quel giorno si celebrasse la prevista udienza dibattimentale che vedeva imputato Messina per l’omicidio di Antonello Rosiello. L’allarme suscitato dall’ordigno, comportò nella circostanza l’interruzione momentanea dell’attività nelle aule di giustizia e la loro evacuazione, fino all’intervento degli artificieri della Polizia di Stato.  Nel corso della successiva attività investigativa, che aveva condotto alla cattura in Croazia di Messina, gli operatori della Squadra mobile accertavano la esistenza della relazione sentimentale e risalivano alle utenze utilizzate dal latitante e dalla donna per colloquiare tra loro, risultate intestate entrambe a dei minori completamente estranei ai fatti.

Gli accertamenti effettuati dagli investigatori hanno poi permesso di raccogliere rilevanti elementi indiziari circa il fatto che fosse stata proprio l’indagata a procurare le due schede sim, attraverso l’uso fraudolento di copia dei documenti dei due ragazzi. Gli inquirenti sottolineano anche il tentativo della donna di recuperare una cospicua somma di denaro dovuta da un creditore a Messina che doveva a questi servire per affrontare la prosecuzione della latitanza.

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