Aversa, presunte morti evitabili al “Moscati”: il caso dell’operaio deceduto per tromboembolia polmonare

di Antonio Arduino

Aversa – Le morti evitabili al “San Giuseppe Moscati” negli anni in cui prestava servizio l’ortopedico Nazario Di Cicco erano reali o fantasia del sanitario che ha vissuto venti anni d’inferno per averne parlato con una lettera-denuncia pubblicata sul Corriere della Sera? Ne avrebbe voluto parlare nel corso di un intervento nella trasmissione televisiva di Rai Uno “Storie Italiane”, portando i documenti dimostrativi relativi al caso di uno dei tanti “morti evitabili” da lui conosciuti e che lo avevano spinto a denunciare il “problema” nell’anno 2000 sul Corriere della Sera.

Il caso, documentato, era relativo ad un operaio, 32enne, ma Di Cicco non ha avuto la possibilità di fare altro che un accenno che nessuno dei presenti alla trasmissione ha raccolto. Noi, però, l’abbiamo fatto e per saperne di più abbiamo chiesto all’avvocato Nicola Marino che, all’epoca dei fatti, rappresentò la famiglia del paziente deceduto in ospedale. “L’uomo – racconta l’avvocato – aveva subìto una frattura scomposta di tibia e perone alla gamba sinistra e alla data del 31 dicembre 2001 si era recato all’ospedale di Aversa per le cure del caso. Fu messo in trazione ed operato l’11 gennaio 2002, il decesso avvenne il 13 gennaio 2002 per tromboembolia polmonare”. “Una complicanza – continua il legale – che i periti di parte dichiararono essere stata conseguenza del ritardo con cui era stato operato il paziente che, secondo la letteratura scientifica della materia, si sarebbe dovuto effettuare in tempi brevi, 24-48 ore e nel caso di trazione entro 72 ore al massimo, se non c’è miglioramento”.

“Durante il periodo intercorso tra il ricovero e l’intervento – aggiunge l’avvocato – furono eseguiti altri interventi che non avevano il carattere di urgenza. Alla morte del 32enne, avvenuta in ospedale i familiari reagirono denunciando la cosa è ci fu un procedimento giudiziario”. “In fase istruttoria – riassume Marino – la denuncia dei familiari stava per essere archiviata. Mi opposi all’archiviazione e all’esame successivo del giudice delle indagini preliminari ci fu la richiesta di rinvio a giudizio dei sanitari coinvolti nella vicenda”. “A questo punto – ricorda il legale – entrò in gioco l’assicurazione che, cosa non usuale, fece un’offerta di risarcimento che la famiglia accettò, rinunciando, di conseguenza, a costituirsi parte civile nel procedimento penale. Con la sottoscrizione dell’accordo il mio impegno professionale si concluse”.

Dunque, la famiglia ebbe un risarcimento per la morte dell’operaio, cosa che non sarebbe avvenuta se il decesso fosse stato inequivocabilmente un fatto imprevedibile e, quindi, non evitabile, cosa contestata dai periti di parte che, facendo riferimento alla letteratura traumatologica, definirono la tromboembolia evitabile e prevedibile. Tesi, evidentemente, considerata possibile dall’assicurazione che risarcì la famiglia prima della conclusione del procedimento penale e che fu considerata valida da chi dispose il rinvio a giudizio dei sanitari.

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