Formazione Professionale, lavori fermi da 5 mesi: il Movimento porta Regione Campania in tribunale

di Redazione

Il decreto dirigenziale 715/2018, quello che aveva l’arduo compito di definire le linee del nuovo sistema della formazione professionale in Campania, è “scritto da incompetenti”. Lo affermano i rappresentanti del Movimento Libero e Autonomo, sindacato di tutela degli enti formativi facente capo a Confimprenditori, che dopo averlo annunciato lo scorso luglio ha formalmente avviato l’iter legale per portare in Tribunale la Regione Campania, dopo aver richiesto l’accesso agli atti lo scorso luglio. “L’azione legale – spiega il presidente del Movimento, Luca Lanzetta, profondo conoscitore delle dinamiche della formazione professionale campana e dal primo momento contro questo decreto dirigenziale – è necessaria perché i burocrati non ci ascoltano. Le nostre istanze sono ormai datate e sollevate nei giusti luoghi, ma ad oggi i lavori sono fermi ormai da 5 mesi. Siamo sull’orlo del baratro, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro possesso per tornare sulla via della trasparenza e della legalità su cui da tempo lavoriamo, anche in sinergia con l’Assessorato guidato da Chiara Marciani”.

Ma se la responsabilità non è dell’Assessorato, di chi è? Secondo il Movimento, la colpa è dei burocrati regionali che hanno messo su un decreto dirigenziale “che ci porta indietro ai tempi del malaffare. Alcune istanze che abbiamo avanzato – continua Lanzetta – sono di legalità e buon senso, altre sono squisitamente tecniche. Restano i fatti: chi ha redatto questo decreto ha evidentemente confuso la formazione finanziata con l’autofinanziata, ha stravolto il senso di libero mercato regolamentandolo come un mercato in concessione e viceversa. Insomma, dopo tanto buon lavoro rischiamo di tornare al caos primordiale che ci rendeva fanalino di coda in Italia per qualità della formazione professionale e legalità nel comparto”.

Già lo scorso luglio il Movimento aveva elencato i punti del dd 715/2018 che non convincevano, e che andavano contro quella trasparenza nel settore formativo tanto agognata. Tra questi: un iter talmente complesso da andare esattamente nella direzione opposta alla sburocratizzazione non solo tanto auspicata proprio dal governatore campano Vincenzo De Luca, ma anche dagli enti nazionali e comunitari; la decuplicazione dei costi per la presentazione delle istanze, che passa da 20 euro a 200 euro per singola istanza di corso, che altro non produrrà che un abbassamento dell’offerta formativa, il tutto a danno degli utenti; preavvisi più lunghi del periodo di corso di formazione stesso, senza tenere conto delle urgenze degli allievi; numero di allievi minimo per corso, in barba a ogni regola auspicabile in un libero mercato; nessun tipo di regolamentazione sui costi minimi dei corsi; obbligo, nei messaggi pubblicitari, di aderire al dettato dei corsi finanziati, senza avere alcun rispetto delle regole sulla comunicazione; i decreti dirigenziali vengono applicati a seconda dell’ente che lo richiede. Ci sono enti esenti e enti che ne devono invece rispettare i dettami con estrema puntualità.

Le scuole lamentano l’inefficacia dei comportamenti posti in essere da questo decreto e denunciano che de facto si passa da un libero mercato a un mercato in concessione, con un’offerta formativa impoverita e con un sistema che senza i dovuti controlli va a favorire gli enti che in qualche modo provano ad aggirare le regole (quella che viene definita “formazione fantasma”). “Con una questione del genere sul tavolo – spiega Lanzetta – i burocrati della Regione Campania per motivi a noi sconosciuti ritengono prioritarie altri aspetti della vita formativa. Ad oggi resta il fumus. Come quello dei commissari di commissione d’esame che sono ingegneri, avvocati e filosofi e giudicano gli estetisti e i tatuatori e che sembra facciano il Sep di professione. Dobbiamo agire con urgenza”. “Fino ad oggi – conclude Lanzetta – non c’è stata una seria risposta alle incongruità rilevate tra quello che avrebbe dovuto essere e quello che, tutt’oggi, è”.

LA QUESTIONE LEGALE – “Il decreto dirigenziale 715/2018 presenta diffuse criticità, che finiscono per creare ulteriori problematiche sotto il profilo della libera concorrenza e dell’esercizio dell’attività imprenditoriale e non scongiurare il malaffare, che anzi finisce per alimentare”, spiega l’avvocato Francesco Monetti, che rappresenta le scuole di formazione. “Da un canto – sottolinea Monetti – propone una dettagliata disciplina dell’attività che deve svolgere la scuola di formazione, ma dall’altro verso non pone un bilanciamento adeguato all’esercizio di questa attività, perché consente a tutti di proporre i corsi nel modo che ritengono e coi costi che ritengono. Nel momento in cui non si vanno a calmierare e regolamentare i minimi costi che devono essere inderogabilmente richiesti dalle scuole di formazione, si vanno ad alimentare le truffe. Si pongono sullo stesso piano le scuole che fanno davvero i corsi e che sostengono i rilevanti costi che questi comportano, con quelle pseudo-scuole che i corsi fingono di farlo, proponendoli a prezzi stracciati, perché, per lo più, non li fanno proprio! I paletti rigidi senza adeguati bilanciamenti del decreto dirigenziale finiranno per incentivare le anomalie, concetto semplice che pare la Regione non voglia capire”.

Ma ci sono parecchie anomalie. Ogni anomalia meriterebbe un’analisi a parte. Ad esempio, per i costi di istruttoria, Monetti ribadisce: “Un controsenso fattuale e anche giuridico, perché non è previsto, di fronte a un aumento dei costi, un cambiamento o miglioramento delle condizioni pregresse. Visto che i dati sono già in possesso dell’ente, non si capisce perché le spese d’istruttoria vengano decuplicati, evidentemente ostacolando l’iniziativa imprenditoriale delle scuole serie, con inevitabili riflessi sul coretto mercato del lavoro campano. Andremo a formulare un’articolata proposta di modifica del decreto dirigenziale – a rigore logico soprattutto – che dovrebbe indurre l’organo regionale a prevedere non dei costi di istruttoria ma dei costi a consuntivo delle attività realmente espletate”. “Il sistema campano – chiude il legale – è un’anomalia rispetto alle altre regioni. In Lombardia sono le stesse scuole nel momento che vengono accreditate diventano strumenti dell’organismo pubblico, e sono loro a certificare le attività. In Campania no, abbiamo delle forti ingerenze, non spiegabili se non alla luce di interessi particolari, nelle attività”.

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