Rapine e aggressioni a ragazzini: presa a Roma baby gang che si ispirava a “Gomorra”

di Redazione

Nel quartiere Vescovio di Roma gli agenti della Squadra mobile e del locale commissariato hanno eseguito quattro provvedimenti restrittivi della libertà personale, emessi dal gip di Roma su richiesta della Procura, e sei avvisi di conclusione indagini emessi dal Tribunale per i minorenni. Individuati i dieci i componenti della banda giovanile che per mesi ha terrorizzato i ragazzi residenti; rapine e lesioni i reati contestati. Per loro si apre la strada del processo.

L’indagine, che ha consentito di individuare tutti i componenti della gang, è partita grazie alle denunce di ragazzini dei quartieri Vescovio, Africano e Coppedè, che, accompagnati dai genitori, sono riusciti a raccontare i soprusi subiti; si è accertato che il gruppo operava nella zona quasi esclusivamente per il gusto di predominare sugli altri, per segnare il territorio e rapinare “paghette settimanali”, oggetti di valore e capi di abbigliamento firmati, che non esitava a esibire sui social come trofei per l’impresa compiuta. Le vittime, vessate in continuazione, per paura di incontrare nuovamente i componenti della gang, limitavano le loro uscite o comunque cambiavano le loro abitudini, fino ad arrivare al punto di non indossare un capo di abbigliamento costoso, avendo il terrore di essere rapinati.

Gli investigatori, con pazienza e tenacia, analizzando gli episodi denunciati, le caratteristiche fisiche degli aggressori, il modus operandi e analizzando i social network, hanno individuato tutti i componenti del gruppo. La modalità d’azione di quella che può essere considerata una vera e propria “gang” si manifestava con la commissione di attività delittuose caratterizzate da metodi violenti, reiterati nel tempo e con modus operandi univoco e costante, condiviso da tutti gli appartenenti al gruppo.

L’azione di due o più componenti la gang era condivisa con gli altri sui social per affermare il messaggio che nessuno poteva invadere il loro territorio ed anche per spaventare le stesse vittime, spesso conoscenti o addirittura amici sui profili Facebook, che potevano così verificare direttamente la esternazione del potere e della prepotenza della gang. Potere e prepotenza del gruppo erano riscontrabili all’interno del quartiere attraverso le dichiarazioni delle stesse vittime che addirittura, riconoscendo i loro componenti e sapendo della loro “notorietà criminale”, non reagivano o comunque, incontrandoli, “speravano” di non essere coinvolti nelle loro azioni criminose, memori delle loro gesta criminali, ormai di dominio pubblico nella zona. Quando incontravano nei quartieri vittime a loro sconosciute chiedevano, prima di colpire, la loro zona di provenienza, ed accertata la loro “estraneità” al territorio, li rapinavano, come se dovessero pagare “dazio” per essere entrati nel loro “spazio”.

Rapinare le giovani vittime di 5, 40 o 90 euro, non costituiva un mezzo di “sostentamento” seppur illecito, ma solo una conseguenza della rapina stessa, posta in essere principalmente per il gusto di farla, come atto di dimostrazione di forza o per “spaventare” le vittime, come fine ultimo proprio quello di crearsi una “fama” e/o una reputazione nel quartiere, come duri e violenti.

Anche se spesso si giustificavano con le loro vittime che il denaro rapinato serviva per acquistare sostanza stupefacente o per “fare benzina”, appare evidente che l’esiguità delle somme rappresentava una conseguenza e non la causa del reato. I “trofei” rapinati rappresentavano simboli di un agiato status sociale: sono stati trafugati capi di abbigliamento e accessori di marca, tenuti e scambiati tra i componenti ed esibiti nei social per rimarcare la loro prepotenza e onnipotenza, come nelle migliori fiction televisive.

Molti profili facebook sono caratterizzati da frasi o video in cui prevale la violenza o l’appartenenza ad un gruppo come modo di vita, alla pari delle serie televisive come “Gomorra”, ove il valore principe è il gruppo e i “fratelli” da tutelare e se necessario vendicare.  Gli investigatori, al lavoro da mesi sul fenomeno, coordinati dalla Procura di Roma e dalla Procura per i Minorenni, hanno identificato e monitorato i soggetti, studiando le loro abitudini e i luoghi frequentati, raccogliendo elementi utili alla loro incriminazione, attribuendo specifiche responsabilità nei singoli episodi.

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