Camorra a Mondragone, il testimone Francesco Paolo: “Denunciai ma senza aiuto Landolfi”

di Redazione

Originario di Cancello Arnone, in provincia di Caserta, Francesco Paolo è un imprenditore nel settore lattiero-caseario, titolare di un’azienda che si chiamava “Antico caseificio dei Mazzoni” e operava sul territorio di Mondragone. Nel 2001, stanco di sottostare al racket della camorra, denunciò ai carabinieri il tentativo di estorsione subita da Michele Persechino, stretto collaboratore del boss Augusto La Torre (allora già detenuto), per conto del quale raccoglieva le tangenti dagli imprenditori del luogo. Persechino fu arrestato e si pentì, dando un duro colpo al clan, mentre Paolo dovette chiudere il caseificio e cambiare residenza perché inserito nel programma di protezione.

La storia del testimone di giustizia Francesco Paolo è tornata alla ribalta qualche giorno fa durante il processo in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere in cui è imputato per presunti il legami con la camorra l’uomo politico mondragonese Mario Landolfi, ex parlamentare ed ex ministro delle telecomunicazioni nonchè esponente di spicco a livello nazionale di An e Pdl. Durante l’udienza è stato sentito come teste della difesa il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, che nel 2002 era pm della Dda di Napoli, che ha affermato che l’arresto di Persechino “segnò il declino del clan La Torre, un clan che la Dda seguiva con grande attenzione”. Una deposizione, quella di Cantone, che però non ha trovato concorde l’imprenditore, specie nella parte in cui l’ex pm ha affermato che il suo intervento era stato sollecitato da Mario Landolfi, che lo aveva contattato per parlargli di un imprenditore suo concittadino cui era pervenuta una richiesta estorsiva. “Su mio consiglio – ha affermato Cantone – l’imprenditore denunciò il suo estorsore ai carabinieri, che lo arrestarono”.

In una breve lettera, che pubblichiamo a seguire, Paolo dà la sua versione dei fatti.

Egregio Direttore, sono il Testimone di Giustizia Francesco Paolo e mi rivolgo a Lei in merito ad alcune dichiarazioni attribuite dai media al dottor Cantone nell’ambito del processo Landolfi, e che le riporto da internet: ‘Mario Landolfi mi contattò per parlarmi del tentativo di estorsione subito da un imprenditore ad opera di un uomo dei La Torre, su mio consiglio l’imprenditore denunciò il suo estorsore ai carabinieri, che lo arrestarono’. E ancora ‘Landolfi mi mise in contatto con l’imprenditore che poi lasciò Mondragone e fu inserito nel programma di protezione’. 

Naturalmente non si fa il mio nome ma nel caso, affatto remoto, in cui si stia parlando di me, per amore di verità e poiché queste parole hanno riaperto una profonda ferita in me e nei miei cari, tengo fortemente a precisare che quanto sopra non è esatto. La mia denuncia scaturì solo e soltanto dalla mia autonoma decisione e dal mio senso di giustizia, senza alcun contatto o incoraggiamento esterno alla mia famiglia. Nel 2001 mi sono recato alla stazione dei Carabinieri di Mondragone, e ho sporto denuncia per tentativo di estorsione; iniziò così la mia collaborazione con le forze dell’ordine, che portò all’arresto di Michele Persechino nel mio caseificio. 

L’arresto non fu eseguito sotto il coordinamento del dottor Cantone, ma dal dottor Luigi Landolfi, pubblico ministero a Santa Maria Capua Vetere. Solo dopo il suddetto arresto subentrò nella questione la Dda sotto la direzione del dottor Cantone. Quindi è impossibile che l’onorevole Landolfi abbia parlato di me con il dottor Cantone prima della mia denuncia. Ringrazio ancora il dottor Cantone per il suo personale incoraggiamento che seguì, non determinò il mio gesto, insieme a quanti provarono ad aiutare me ed i miei cari nel corso del devastante cambiamento di vita che la mia scelta causò. 

Mi sono in altre occasioni espresso riguardo all’abbandono che ho subito da parte delle Istituzioni ed alle carenze del Programma di Protezione. Lo Stato Italiano, che sempre servirò con i più alti ideali di cittadino, si è spesso dimenticato di questo suo figlio. Credo di meritare almeno due cose: che sia resa pubblica la verità dei fatti che mi riguardano e che si rispetti la poca pace che io e la mia famiglia abbiamo dolorosamente ricostruito. 

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