‘Ndrangheta in Toscana: 14 arresti e 12 aziende sequestrate

di Redazione

Circa 200 militari appartenenti ai comandi provinciali dei carabinieri e della Guardia di Finanza di Firenze, nell’ambito dell’operazione denominata “Vello d’Oro”, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale del Capoluogo Toscano, Paola Belsito, su richiesta della Procura distrettuale antimafia, emessa nei confronti di 14 persone (11 in carcere e 3 ai domiciliari), residenti tra la Calabria e la Toscana. Contestualmente alle misure cautelari personali, su richiesta del pm, il gip ha disposto anche il sequestro preventivo di 12 società, 5 con sede in Italia e 7 all’estero (per queste ultime è stata avviata specifica attività di assistenza giudiziaria internazionale in Slovenia, Gran Bretagna, Austria, Croazia e Romania) e di numerosi conti correnti bancari.

In totale, sono 18 le persone indagate nei cui confronti vengono contestate le ipotesi di reato che vanno dall’associazione per delinquere, all’estorsione, al sequestro di persona, all’usura, al riciclaggio ed autoriciclaggio, all’abusiva attività finanziaria e all’utilizzo/emissione di fatture per operazioni inesistenti nonché al trasferimento fraudolento di valori. È stata contestata anche l’aggravante del metodo mafioso.

Il provvedimento giudiziario eseguito dai militari appartenenti alle due forze di polizia è stato emesso a conclusione di complesse e articolate indagini, avviate a seguito di una denunzia di un imprenditore toscano in quanto vittima di un’attività di usura e di minacce operate da Cosma Damiano Stellitano [imprenditore calabrese, di fatto domiciliato a Vinci (Firenze), poiché, a fronte di un prestito ricevuto per 30mila euro, avrebbe dovuto restituire una somma di denaro maggiorata di interessi (usurari) corrispondenti al 17% in un solo giorno (per un importo pari ad oltre 35mila euro).

Le investigazioni, svolte anche con l’ausilio di indagini tecniche, – coordinate dal procuratore Ettore Squillace Greco (applicato alla Dda di Firenze) e, più di recente, dal sostituto Giuseppina Mione – sono state condotte inizialmente dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Firenze e, a partire dal novembre 2014, co-delegate anche al Gico del nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Firenze, riuscendo ad individuare un sodalizio criminale ben strutturato di cui facevano parte, tra gli altri, soggetti legati ad elementi di spicco delle famiglie ‘ndranghetiste dei “Barbaro” e dei “Nirta”, attive nella zona del litorale jonico della provincia di Reggio Calabria.

Il prosieguo delle indagini ha permesso di individuare un’articolata organizzazione criminale di origini calabrese – operante in Toscana ed in Calabria, nonché in diversi Stati europei quali la Slovenia, la Croazia, l’Austria, la Romania ed il Regno Unito – costituita attorno ad Antonio Scimone, soggetto risultato a capo di una rete di aziende costituite ad hoc per generare voluminose movimentazioni finanziare (pagamenti di fatture relativi a costi fittizi) “strumentali” per costituire ingenti quantità di denaro contante a disposizione dei sodali, da destinare a nuove attività illecite ovvero da riciclare/reimpiegare in attività commerciali.

Più in particolare, Scimone – con la fattiva collaborazione di Stellitano, di Giuseppe Nirta (nipote dell’omonimo capo indiscusso della ‘ndrina “La Maggiore” di San Luca, ucciso nel 1995) e di Antonio Barbaro – faceva confluire in conti correnti esteri intestati a società “cartiere” (tutte direttamente e/o indirettamente riconducibili allo stesso Scimone, in gran parte intestate a prestanome) rilevanti somme di denaro da riutilizzare come prestiti di denaro contante ad imprenditori conciari toscani, questi ultimi gravemente indiziati di essere ben consapevoli della provenienza illecita del denaro e complici del sistema criminale ideato dai menzionati calabresi. Gli imprenditori toscani, infatti (indagati anche per il reato di riciclaggio), restituivano ai loro “finanziatori” le somme di denaro ricevute in prestito, maggiorate di interessi celando la dazione di denaro attraverso il pagamento di false fatture di acquisto di pellame, emesse da una S.r.l con sede nel pisano e materialmente predisposte dal contabile di fiducia di Stellitano. In questo modo, gli imprenditori toscani – alcuni dei quali destinatari della odierna misura cautelare in carcere (3 persone) o domiciliare (3 persone) – si finanziavano ottenendo denaro contante (da utilizzare principalmente nella retribuzione “in nero” dei dipendenti) e, annotando in contabilità le citate false fatture, abbattevano gli utili delle proprie aziende (quindi pagavano una minore imposta sul reddito delle persone giuridiche), registravano un credito Iva fittizio e, quindi, scaricavano sull’erario il “costo” del finanziamento illecitamente ottenuto.

In ultima analisi, il sistema fraudolento così congeniato faceva gravare sulle casse dell’Erario il costo del denaro contante ricevuto dagli imprenditori toscani e, di converso, il profitto illecito dei calabresi. Infatti, il “prezzo” pagato dagli imprenditori toscani per il finanziamento ottenuto era, di fatto, celato sotto forma di Iva corrisposta per il pagamento delle menzionate fatture false (imposta poi portata a credito nelle liquidazioni periodiche dagli stessi imprenditori) mentre le società emittenti le citate fatture non hanno mai provveduto a versare l’Iva incassata. Soffermandosi poi sulla natura degli stretti rapporti che Antonio Scimone ha intrattenuto con i soggetti quali i menzionati Giuseppe Nirta e Antonio Barbaro, è stato possibile circostanziare l’aggravante del metodo mafioso.

In concomitanza, la Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria ed i militari del locale comando provinciale della Guardia di Finanza hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto della Procura antimafia reggina, emesso nell’ambito dell’operazione denominata “Martingala”, nei confronti di 27 persone (di cui 4 destinatarie anche del provvedimento della magistratura toscana), ritenute responsabili a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro (leggi qui).

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