Espianto ovuli, chiesta condanna a 9 anni di carcere per Antinori

di Redazione

La Procura di Milano ha chiesto la condanna a 9 anni di carcere per Severino Antinori, il ginecologo tra gli imputati per il presunto prelievo forzato di otto ovuli a un’infermiera spagnola di 24 anni, avvenuto il 5 aprile 2016 alla clinica Matris. I pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti, al termine della loro requisitoria, rivolgendosi al Tribunale hanno chiesto che non vengano riconosciute le attenuanti generiche al medico “per il suo ruolo preminente nella vicenda e perché è protagonista di gravi reati”.

Nel maggio 2016 Antinori finì sottoposto agli arresti domiciliari dai carabinieri del Nas di Milano, per i reati di rapina aggravata e lesioni personali aggravate. 70 anni, originario di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, è noto per essere pioniere nel campo della medicina, dagli anni Ottanta ha tentato qualunque strada per rendere possibili le gravidanze, anche di donne in menopausa e coppie sterili. E’ stato tra i primi a realizzare la fecondazione eterologa, ma senza mai rivelare la provenienza degli ovuli.

Secondo l’accusa, avrebbe espiantato alcuni gameti dalla 24enne spagnola contro la sua volontà. La vittima, sottoposta ad una cura ormonale fatta passare per una terapia per il trattamento di una cisti ovarica, riferì di essere stata immobilizzata, anestetizzata e costretta a subire un’asportazione di ovuli, nonché privata del proprio telefono cellulare, per impedirle di chiedere aiuto. La giovane, dopo l’intervento, riuscì poi a raggiungere un telefono della clinica e ad allertare i carabinieri. All’arrivo della pattuglia, la 24enne ebbe un malore. “Gli accertamenti condotti presso la Clinica – riferirono le forze dell’ordine – confermavano l’intervento di prelievo ovocitario ed uno stato psicologico prostrato dal trattamento subito e dall’angoscia per l’impiego degli ovuli prelevati in operazioni di fecondazione assistita a favore di terzi. Un’accurata visita medico legale, inoltre, rilevava la presenza di ecchimosi sul corpo, compatibili con le manovre di immobilizzazione per l’anestesia forzata”.

Da parte sua, Antinori si è così difeso dinanzi agli inquirenti: “All’inizio dell’incontro lei voleva avere un rapporto sessuale con me. Io all’inizio rifiutai, ma lei insisteva e dopo un po’ di ore mi sono sentito costretto”. Il medico, rispondendo al pm Leonardo Nesti, raccontava di aver conosciuto la donna in un night club di Siviglia nel dicembre 2015. “Notai subito che aveva una forte attrazione per me. Mi prese per mano e mi portò nella mia camera di albergo”. Inoltre, aggiungeva, “dopo questo rapporto non avevo più intenzione di vederla”. Ma invece si è poi presentata a Milano e “non sapendo dove andare ho detto portatela in albergo”. In questa occasione l’infermiera “ha espresso la volontà di fare la donazione. Io le ho detto di andare alla clinica e di seguire tutto l’iter di sicurezza per la procedura”.

A precisa domanda del pm il ginecologo spiegava che la giovane venendo in Italia dalla Spagna “pensava di recuperare denaro avendo un rimborso spese”. Antinori, oltre ad affermare che un’altra volta la ragazza “ha tentato di tirarmi giù i pantaloni”, l’ha accusato di avergli rubato un orologio di marca e 700 euro. Ha parlato di “una scena madre” in cui le ha chiesto dei soldi perché “la madre stava male e stava morendo e non avevano denaro. Così le ho dato 2000 euro”. Antinori ha negato di averle dato soldi per la donazione di ovuli, il cui “programma che ha seguito con entusiasmo”, e ha assicurato che “i consensi erano firmati e rifirmati ad abundantiam”. Ha ribadito che prima di entrare in sala operatoria “era rilassata. Le ho dato una carezza per rassicurarla e alla fine l’ho vista tranquilla”.

Quanto alle lesioni ai polsi refertate al Pronto soccorso della Mangiagalli, per l’accusa segni del prelievo forzato e avvenuto non senza violenza, “sono inesistenti e inventate” e se aveva qualche ecchimosi “se l’è provocata al risveglio dell’intervento per il prelievo perché si è dimenata nel lettino, con una gestualità teatrale. Sbraitava perché voleva il telefono dicendomi che doveva chiamare la madre”, invece poi ha chiamato la polizia. E a proposito della telefonata intercorsa con l’infermiera il pomeriggio prima, il 4 aprile 2016, con lei che gli aveva detto di voler partire e di non volere i suoi soldi, il medico è sbottato: “Io avevo detto di mandarla via ma lei ci ha tampinato. Siamo stati turlupinati e anche di più”. Il medico ha sostenuto in aula la sua professionalità dicendo di aver “rivoluzionato la fecondazione assistita in Italia” e di aver fatto nascere “figli di principi e capi di stato, figuriamo se avevo bisogno di quegli ovuli”.

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