Provincia di Caserta, Consiglio di Stato: “Legittime ‘nuove’ entrate finanziarie dopo dissesto”

di Redazione

Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 4785 pubblicata il 16 ottobre, mette la parola fine alla querelle sul fondamentale capitolo delle entrate istituite dopo il dissesto dalla Provincia di Caserta, accogliendo l’appello di quest’ultimo e rovesciando completamente il verdetto di primo grado del Tar Campania.

Va brevemente ricordato che a seguito della dichiarazione dello stato di dissesto finanziario della Provincia, il Consiglio provinciale di Caserta aveva approvato una nota delibera, l’11 febbraio 2016, con la quale, per far fronte alla grave crisi economica, venivano determinate, nella misura massima consentita, le aliquote e le tariffe di base delle imposte e tasse locali di spettanza dell’ente dissestato, ma soprattutto stabilito che il costo di gestione dei servizi a domanda individuale fosse coperto con proventi tariffari e contributi finalizzati.

Accogliendo il ricorso di taluni operatori del settore automobilistico, il Tar di Napoli, ritenendola illegittima, aveva annullato integralmente la citata deliberazione, di fatto innegabilmente determinando una ulteriore gravissima paralisi di tutti i settori dell’ente, già allo stremo.

La Provincia di Caserta, difesa dall’amministrativista aversano Fabrizio Perla, ha impugnato la sentenza del Tar dinanzi il Consiglio di Stato che il 16 ottobre ha definitivamente sentenziato sul caso, dando piena ragione all’ente provinciale e ribaltando la pronuncia di primo grado.

Con un’articolata e complessa pronuncia, che in verità tocca numerosi e delicati aspetti, i giudici di Palazzo Spada, pienamente condividendo quanto sostenuto dalla Provincia, hanno, in sintesi, ritenuto errata ed irrilevante l’impostazione del Tar, che distinguendo tra funzioni amministrative, non assoggettabili alle entrate in questione, e servizi pubblici, invece ad esse assoggettabili, aveva ritenuto che queste entrate dovevano qualificarsi “come un vero e proprio tributo” ed erano state introdotte in assenza di una base legislativa fondante, con violazione dell’articolo 23 della Costituzione (secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base ad una legge”).

Al contrario, il Consiglio di Stato ha invece ritenuto corretto l’operato della Provincia e soprattutto, in adesione all’appello proposto per l’ente dall’avvocato Perla, che le voci in questione vadano qualificate come “entrate proprie” che l’ente locale (come gli altri in cui si articola la Repubblica italiana), in base alla Costituzione, è del tutto legittimato ad introdurre ai sensi dell’articolo 119, comma 2, trattandosi di una forma di compartecipazione agli oneri economici sostenuti dall’amministrazione per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza nel settore, correlato all’ampliamento delle competenze attuato con il decentramento amministrativo e che trae il proprio fondamento proprio dalla autonomia impositiva prevista dalla norma costituzionale.

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