Venezia, Leone d’Oro al Messico. L’Italia conquista la sezione “Orizzonti”

di Gaetano Bencivenga

Andata in archivio anche la 74esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con un verdetto che ha messo tutti d’accordo. Almeno per quanto riguarda il Leone d’Oro ovvero il riconoscimento al miglior film della rassegna. In un concorso dominato, già in partenza, dai titoli americani ha, infine, trionfato il messicano, spesso arruolato a Hollywood, Guillermo Del Toro.

Un autentico maestro del fantasy, che ha trovato, fortunatamente, in una giuria internazionale, capitanata dall’attrice statunitense Annette Bening, quel tratto si sensibilità e intelligenza essenziali a capire che un festival ha il compito di segnalare pellicole di valore ma anche fruibili dal grande pubblico. E di spettatori entusiasti, spinto pure da tale folgorante vittoria, ne collezionerà “The Shape of Water”, poetica e avventurosa favola acquatica, ambientata ai tempi della Guerra Fredda, che racconta la storia di attrazione tra una donna delle pulizie, mite e muta, e una creatura marina fantastica catturata dai servizi segreti yankee. Il regista, davvero felice per il riconoscimento, ha spronato, dal palco di una vetrina tanto importante, i suoi colleghi sudamericani a osare e credere nel futuro di un’arte intramontabile.

Un numero ancora maggiore di applausi li ha raccolti l’elegante attrice britannica Charlotte Rampling, Coppa Volpi per l’intensa e rarefatta interpretazione di una signora attempata oppressa da un tremendo senso di colpa per un mai risolto conflitto con il marito a causa di un probabile e grave reato legato alla pedofilia in “Hannah” diretta dal promettente Andrea Pallaoro. La Rampling si è detta molto soddisfatta di ricevere un alloro di tale importanza proprio in Italia, il paese della sua realizzazione artistica grazie a cineasti del calibro di Luchino Visconti, Liliana Cavani e, ora, del giovane Pallaoro.

Il trofeo consacra, quindi, un momento magico per l’attrice, che sta vivendo, in tarda età, una stagione di trionfi nelle principali manifestazioni europee e anche oltreoceano (non dimentichiamo, infatti, la sua recente candidatura all’Oscar per “45 Years”). Coppa Volpi per il miglior attore, un po’ a sorpresa, al libanese Kamel El Basha, uno dei due contendenti in una lite condominiale tra un estremista cristiano e un ingegnere palestinese, che si trasforma, poi, in un conflitto su più larga scala nel lungometraggio rivelazione “The Insult” di Zlad Doueri.

Gran Premio della Giuria all’israeliano Samuel Maoz, autore dello sperimentale, teatrale, decisamente fluttuante, come il ballo del titolo appunto, “Foxtrot”. Non è stata, decisamente, la migliore medaglia d’argento di una competizione che aveva, anche, offerto il magnifico “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” del geniale Martin McDonagh, che ha visto il suo noir di ispirazione tarantiniana accontentarsi di un, pur non disdegnabile, premio per la sceneggiatura. Ovviamente, il simpatico spaccone McDonagh non si è lasciato sfuggire l’occasione per una frecciatina ironica (“La cosa più bella di questa esperienza italiana sono stati la pasta e i Negroni”), che suona proprio come “non ho digerito molto bene questa bruciante sconfitta”.

Letteralmente in lacrime, invece, il francese emergente Xavier Legrand, che con il quasi documentaristico “Jusqu’à la garde” narra una disturbante storia di violenza sulle donne e agguanta i Leoni per la regia e per l’opera prima. Contentino, ovvero Premio Speciale della Giuria, allo “Sweet Country” di Warwick Thornton, non certamente il miglior rappresentante di una folta pattuglia a stelle e strisce rimasta, quasi, a bocca asciutta ma che può consolarsi, ampiamente, con il talento innegabile dell’attore in erba Charlie Plummer, protagonista di “Lean on Me” di Andrew Haigh, insignito di un meritatissimo premio Mastroianni per segnalare le stelle del futuro.

Se il palmares del concorso principale non ha riservato grandi gioie ai quattro connazionali in gara, escluso il riconoscimento al film di Pallaoro, la prestigiosa sezione “Orizzonti”, seconda per importanza solo alla competizione per il Leone d’Oro e aperta alle opere particolarmente innovative, ha visto l’indiscusso trionfo dell’italiana Susanna Nicchiarelli, premiata dal presidente di giuria Gianni Amelio. Con il suo energico “Nico, 1988” ha saputo tracciare, con amore e fervore, un appassionante ritratto esistenziale e artistico della dea lunare del rock di origine teutonica Christa Paffgen, in arte Nico, voce del gruppo Velvet Underground e, successivamente, solista di talento, impersonata alla perfezione dall’eccezionale Tryne Dilhorm, giustamente ricordata dagli stessi giurati in sede di premiazione.

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