RE(be)LIGION: intervista ad Ira Green, volto ribelle del rock partenopeo

di Giuseppe Scuotri

Si chiama RE(be)LIGION il primo album di Ira Green, titolo che riassume con rara accuratezza l’essenza di questo lavoro discografico e la personalità della sua autrice.

La giovane rocker napoletana, dopo l’ottimo successo ottenuto con la partecipazione a The Voice of Italy 2015, è riuscita infatti a confezionare un disco dal sound fresco e sincero, lontano dalle spersonalizzanti logiche commerciali che i talent stessi spesso inculcano ai loro concorrenti. Uscito lo scorso 4 ottobre, l’album è disponibile presso lo store del sito ufficiale dell’artista, www.iragreen.it.

Come nascono, compositivamente parlando, i brani di RE(be)LIGION?

Nascono dalla cosa più semplice, la spontaneità e l’abbandonare i troppi pensieri. Ho lasciato che le canzoni venissero fuori dal mio corpo, senza contaminarle con qualcosa di artefatto. 

Parliamo di sound. Dall’ascolto dell’album emerge una personalità ben definita, un indirizzo sonoro preciso in cui sembri perfettamente a tuo agio. E’ il risultato di una ricerca, sia interiore che esterna? 

La ricerca penso sia segno di vita, mi spiego, ognuno di noi ha una personalità ma se non la si alimenta con la continua fame di conoscenza e di arricchimento mentale non si va avanti. Io cerco e vengo cercata dalle emozioni e penso sia lo scambio più completo.

Il tuo album è stato prodotto con MusicRaiser, la piattaforma web di crowdfunding. Si è rivelata un’esperienza positiva? 

Positivissima! Chi l’avrebbe mai detto che un gruppo di persone avrebbe sostenuto l’idea folle di un album a scatola chiusa? Eppure ci hanno creduto e l’hanno voluto fortemente… ed oggi siamo qui, pronti più che mai.

Quali sono state le influenze musicali che pensi abbiano contribuito maggiormente a formare la tua personalità artistica?

Penso che Layne Staley e David Bowie siano state quasi delle figure majeutiche inconsciamente per me insieme ai vari Phil Anselmo, Dave Grohl e tanti altri. Ma non li ritengo idoli, non mi piace averne. Mi piace assimilare e poi trasformare le cose a mia entità. 

Viviamo in un periodo di grande crisi per l’industria discografica e per la musica dal vivo. Quanto pensi questo stia influenzando la qualità del panorama musicale italiano? 

Parlare in questo modo sarebbe come dare la colpa al pubblico, penso sia impreciso. Il pubblico si è sì addormentato ma è anche colpa di chi permette questa soporifera opera di mettere a tacere i gusti degli altri e imporre quello che le major vogliono si ascolti. 

Ci sono delle nuove proposte, nel panorama internazionale, che ti stanno colpendo particolarmente? 

Ultimamente mi sto interfacciando con molti fan dall’estero che mi mandano link con band e artisti che non avevo mai ascoltato in vita mia che si sono rivelati vere e proprie ispirazioni. Purtroppo però io mi affido molto alle colonne portanti del rock americano, perché è con loro che ho accresciuto la mia conoscenza e personalità artistica.

Vieni dall’esperienza di un talent show, una realtà vista spesso con diffidenza nell’ambiente rock ed indipendente. Pensi si tratti di un sentimento fondato o di un pregiudizio? 

E’ un comprensibile pregiudizio. Spesso si vede come un passepartout per le menti più labili attaccate alla musica, il che potrebbe anche esser veritiero ma personalmente l’ho vissuta come un’esperienza che non capita tutti i giorni e come tale va vissuta senza pensare troppo, molte delle cose più belle le facciamo senza pensarci due volte, no? Sia belle che brutte. Ma è proprio questo a far nascere emozioni.

Quanto di quell’esperienza è impresso in questo lavoro? 

Quel che c’è in questo album era già in atto da prima. Ho iniziato a scrivere all’età di 15 anni e non mi sono mai fermata, c’è solo un po’ più di “cazzimma” come diciamo noi a Napoli. 

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