Doping, otto anni a Schwazer. Gli azzurri: “Chi sbaglia deve pagare”

di Redazione

Subito dopo la sentenza che ha sancito la squalifica per Schwazer, Gianmarco Tamberi ha ribadito il suo pensiero. “Se 8 anni sono giusti? Non sono io a dovermi esprimere, ma è stato trovato positivo due volte, e questo non sono io a dirlo… Mi ero espresso prima di questa nuova positività, ho sempre pensato che un atleta pizzicato per doping non debba più vestire la maglia azzurra perché non rappresenta più i valori della nazionale”, ha detto.

Tamberi, out per infortunio dalla gara di salto in alto, ha insistito, spiegando la sua posizione. “Non era un accanimento contro Schwazer, ma semplicemente il mio modo di concepire il mondo dello sport che deve essere senza doping. Se fosse stato un complotto, ed è difficile pensare che la Wada abbia architettato una cosa del genere, sarebbe una cosa talmente grande da mettere sottosopra lo sport mondiale. Se fosse un complotto sarebbe un vero schifo. Otto anni sono giusti? Non lo so, ma è stato trovato positivo per ben due volte, non lo dico certo io. Il doping è una cosa sporca e non deve far parte del nostro mondo”. “Il mio pensiero è che chi sbaglia, paga”.

Dopo Tamberi, neppure da Clemente Russo arrivano parole di solidarietà ad Alex Schwazer. “Se lui aveva già pagato ed era pulito, era giusto che venisse all’Olimpiade. Se invece è ancora sporco, allora la pena si deve pagare”, ha aggiunto il pugile azzurro.

Di Francisca: “Non ho mai barato. Ho la coscienza pulita perché non mi sono mai dopata in vita mia. Sta a ognuno di noi comportarsi bene”. “Non ho mai pagato nessuno per farmi vincere – ha aggiunto la Di Francisca dopo l’argento vinto nella finale del fioretto – I risultati li voglio ottenere solo attraverso i miei sacrifici. Questa è la mia linea e lo sarà sempre”.

Ancora Russo: “Io credo che qui debba esserci tutto il mondo, purché sia pulito. Io ho avuto sette controlli antidoping a sorpresa in due settimane, spero che anche in Russia glieli facciano”.

Schwazer, arrivato in Brasile per poter prendere parte prima alla 20 km e poi alla 50 km dopo essere risultato positivo a uno steroide sintetico in un controllo del 1 gennaio, si era subito professato innocente. Dicendo che al contrario di 4 anni fa, quando ammise le sue responsabilità, stavolta non aveva mai fatto ricorso a sostanze proibite. E aveva annunciato battaglia, professando la sua innocenza: si era spinto fino a Rio con il pool di legali e il suo tecnico, Sandro Donati, per tentare il tutto per tutto e dimostrare che in quella positività c’erano troppe anomalie.

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