Da dove arrivano le prostitute? Inchiesta sulla moderna “tratta delle schiave”

di Gabriella Ronza

Basta gironzolare con la propria automobile un po’ prima del tramonto e, in alcune zone, anche di mattina o in pieno pomeriggio, su qualche strada più isolata o arteria con attorno poche cose, ed ecco che appaiono, di notte, illuminate dalla luce accesa di un fuoco scoppiettante, vestite in modo succinto: gonne inguinali, top che fanno spesso da reggiseno e tacchi vertiginosi, pronte ad accogliere possibili clienti.

La descrizione è nota ai più ed è difficile non riconoscere queste donne che hanno tutte le medesime caratteristiche: un corpo in mostra e un viso schivo, coperto di trucco, che quasi silenziosamente grida di non voler farsi riconoscere.

Le prostitute di strada sono di nazionalità diverse: alcune arrivano dal nord Africa, altre dall’Africa nera, qualcuna dall’Est Europa, non accomunate da sangue ed etnia, ma sicuramente legate dal filo del destino.

“Gli sfruttatori hanno la garanzia di poter sfruttare a lungo queste donne, senza preoccupazione che finiscano in un Cie (Centro di identificazione ed espulsione, ndr). Queste donne sono già in regola (grazie a loro)”, spiega suor Claudia Biondi, responsabile dell’area tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana, questo perché il piano degli aguzzini che sfruttano ragazze straniere, fuggite alla guerra o alla povertà, è semplice: le costringono a prostituirsi con un permesso di soggiorno in tasca.

Una volta sbarcate in Italia, le giovani (soprattutto nigeriane) vengono inserite nei centri d’accoglienza dopo aver presentato domanda d’asilo, è a questo punto che le “mamam” e gli sfruttatori riprendono i contatti. Perché usare il verbo “riprendere”? Questo perché le ragazze fin dalla terra di origine conoscono i loro “futuri” aguzzini, che le adocchiano e le affascinano con promesse di un roseo futuro: “Vieni in Italia, chiama a questi numeri, chiedi di me e diventerai una baby sitter, parrucchiera o, addirittura, una modella” dicono loro. Per tutte, la promessa di pagare il debito contratto per pagare il viaggio (dai 20mila dollari in su) viene siglata (in Africa) con un rito voodoo e la minaccia di punizioni “divine” in caso di disobbedienza, ribellione o tentativo di fuga.

Contrastare questa situazione è molto complesso.  Intercettare le vittime di tratta al momento dello sbarco è difficilissimo anche se molte associazioni cercano di bloccare l’operazione fin da subito. “Lotta all’emarginazione”, ad esempio, ha incontrato una quarantina di donne nigeriane all’interno dei centri d’accoglienza della provincia di Monza: cinque hanno accettato di entrare nei programmi di protezione per vittima di tratta.

“Sono poco più che bambine, molte non sanno nemmeno scrivere il proprio nome”, spiega suor Monica Chilkwe, nigeriana, dell’associazione “Slaves no more”. Povertà e bassissimi libelli di istruzione fanno di queste ragazze prede facilmente abbordabili.

“Probabilmente nelle città di quei paesi c’è una maggiore consapevolezza sulla realtà delle cose – continua suor Monica -. Per questo, negli ultimi anni, i trafficanti vanno a cercare le loro prede nei villaggi. Spesso sono i genitori a incoraggiarle a partire con la speranza di migliorare le condizioni di vita della famiglia”.

Ma di tutto questo cosa ne pensano i clienti? “Valuto solo che la ragazza sia pulita o meno” dice qualcuno, “Vittime di tratta? No, non ci penso” risponde qualcun altro.

Nusha Yonkova, anti-trafficking manager presso l’Immigrant council of Ireland, con una ricerca dal titolo “Stop Traffick!” ha tracciato un identikit degli uomini che comprano il sesso.

Dai risultati è emerso che il “cliente medio” è maschio, eterosessuale, il più delle volte fidanzato o sposato, e con un reddito medio-alto. Solitamente ha un lavoro e un livello elevato di scolarizzazione. Circa un terzo degli intervistati anonimamente ha spiegato di aver incontrato una probabile vittima di tratta, ma non ha rinunciato a comprarne il corpo. “Non serve a nulla criminalizzare chi è vulnerabile o multare i clienti – spiega Yonkova – l’intervento più efficace è prevenire l’acquisto del sesso”.

Secondo la ricercatrice è d’obbligo far capire che il sesso non dovrebbe essere comprato o chiesto con la forza, soprattutto se quel sesso è frutto di un traffico che lede non solo le ragazze, ma anche intere famiglie e, persino, nazioni, attraverso una dignità calpestata e una libertà mutilata, trasformata in schiavitù moderna.

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