“A volte ritornano”, tutti i nuovi muri divisori da Melilla al Brennero

di Gabriella Ronza

Che la storia si ripeta in corsi e ricorsi è ormai concetto riconosciuto per antonomasia, ma che il muro di Berlino “ritornasse”, relativizzandolo a nuovi assetti geopolitici e a nuove problematiche che non riguardano una guerra fredda, bensì una “guerra al migrante”, è probabilmente un’ipotesi che pochi storici avrebbero creduto si realizzasse dopo soli 27 anni dalla caduta del muro nella città tedesca.

Da Melilla al Brennero, dall’Ungheria a Calais, nuovi toponimi, nuove divisioni che si aggiungono alle 45 barriere separatrici già presenti nel resto del mondo, ma le vittime restano sempre le stesse, seppur di etnie e epoche storiche differenti: gli ultimi.

Su queste idee e in particolare sul monito “Quando avremo alzato un bel muro saremo perfetti per Schengen”, lanciato nel 1995 a Ventimiglia in piena crisi di migranti kosovari dall’eurodeputato Verde Alexander Langer, si è partiti per il progetto Europadreaming della Libera università di Bolzano, che analizza i flussi migratori negli ultimi 20 anni e il ritorno dei muri al Brennero e in Europa.

“Il primo muro ad essere stato eretto nell’epoca di Schengen è stato quello Mellila, pagato con fondi della Ue, l’ultimo – almeno per il momento – la barriera del Brennero, che è in fase di realizzazione”, ha detto Matteo Moretti, designer e coordinatore del progetto Europadreaming. Il docente della facoltà di Design e Arti torna ad occuparsi di migranti e migrazioni dopo aver vinto, nel 2015, il Data Journalism Award con il progetto “Repubblica popolare di Bolzano” sull’immigrazione cinese. “Il nostro obiettivo è aprire una riflessione sul sogno europeo, erroneamente assimilato al trattato di Schengen, che Alexander Langer, nel 1995, definiva un accordo tra polizie e non il migliore modello di integrazione tra le nazioni del continente”, dichiara il docente.

Il lavoro di ricerca è durato più di un anno: si sono raccolte le testimonianze dei profughi, in gran parte eritrei, in procinto di passare il Brennero in treno. I risultati sono consultabili sul sito www.europadreaming.eu. Per mezzo di interviste, infografiche, video, fotografie e testi sulle migrazioni – quelle di oggi e quelle del passato – la ricerca ha provato a mostrare cosa è rimasto del “sogno europeo” dopo oltre vent’anni di cosiddetta ’emergenza immigrazione’. “Il ruolo del designer non si limita soltanto a rendere la vita più bella e semplice, ma anche nel riconoscere in tempo i cambiamenti sociali”, ha detto il prof. Roberto Gigliotti.

“Il reticolato di Ceuta e Melilla, – insistono i ricercatori di Europadreaming -, come gli altri che mano a mano sono stati costruiti, non hanno, ovviamente, risolto nulla, e l’evitare di affrontare dimensioni e realtà dei problemi per calcoli elettorali e di consenso politico ha portato alle conseguenze deflagranti di oggi. Le avvisaglie, però c’erano tutte, già vent’anni fa”.

L’ultimo capitolo, ancora non terminato, riguarda il Brennero, che negli ultimi cent’anni “non è stato attraversato solo da turisti, ma, principalmente, da persone in fuga dalla guerra, dalla dittatura o più banalmente dalla miseria”.

Uno di loro fu il celebre Primo Levi (“A notte fatta passammo il Brennero, che avevamo varcato verso l’esilio venti mesi prima”), nel dopoguerra iniziò invece l’esodo dei Gastarbeiter, lavoratori italiani in cerca di lavoro in Germania, mentre negli anni ’90 il Brennero dovette affrontare l’arrivo di profughi dell’ex Jugoslavia. “Solo ora – si legge in Europadreaming – ci si sta accorgendo che tutto questo ha fatto sì che si sedimentasse un risentimento verso l’Europa e i suoi trattati che rischia davvero di riaprire scenari che credevamo ormai chiusi. E soprattutto che stanno uccidendo il sogno europeo”.

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