Catania, sbarcati 218 migranti, muore 20enne. Scafisti in carcere

di Redazione

Catania – E’ arrivata nel porto di Catania la nave militare croata Andrija Mohorovicic, impegnata nel dispositivo Frontex, con 218 migranti, compresi molti bambini e donne, provenienti da Siria, Somalia ed Eritrea, a bordo anche un cadavere. La vittima è un ragazzo somalo, di 20 anni, che soffriva di diabete, morto durante la traversata.

Dalla nave sono sbarcati numerosi minori e bambini, almeno una quarantina non accompagnati. Secondo quanto reso noto da Save the Children i minori non accompagnati avrebbero viaggiato nella stiva dell’imbarcazione salpata dalla Libia e sarebbero stati costretti a pagare per salire in coperta e potere respirare. La salma del ragazzo somalo, su disposizione della Procura di Catania, è stata trasferita nell’obitorio dell’ospedale Garibaldi. Ieri ad Augusta la nave di Medici senza Frontiere aveva sbarcato il corpo di un quindicenne morto dopo essere stato soccorso. Secondo le testimonianze il decesso è avvenuto per le violenze subite dal ragazzo in Libia.

Udienza al Tribunale di Catania per gli otto scafisti. Si è svolto al Tribunale di Catania l’incidente probatorio in relazione allo sbarco avvenuto nel porto della città etnea lo scorso 17 agosto quando trovarono la morte 49 migranti intrappolati nella stiva di un barcone. Davanti al Gip i testimoni hanno ricordato quanto accaduto durante quel viaggio durato solo una notte. In particolare, i testi hanno riconosciuto nel libico Ayooubil Harboob il comandante del barcone e hanno delineato i ruoli degli altri sette fermati, i quali avevano il preciso compito di mantenere l’ordine a bordo ed impedire ai migranti di salire dalla stiva sul ponte esterno, facendo ricorso ad atti di violenza caratterizzati da calci, pugni e colpi di cinghia.

Intanto, per 37 delle 49 salme è stato emesso il “nulla osta” al seppellimento, mentre per le altre 12 salme sono in corso gli esami autoptici per ulteriori e più approfonditi accertamenti. Le cause del decesso verosimilmente sono riconducibili all’assenza di aria all’interno dell’angusta stiva le cui dimensioni, nella parte centrale, erano di circa 6x4x1,20 metri di altezza e diminuivano procedendo sia verso poppa che verso prora. Nella stiva con la forza erano stati sistemati solo uomini in base alla loro nazionalità: Bangladesh, Pakistan e per ultimi, a poppa, i sub-sahariani. Sul ponte erano stati sistemati siriani, libici e migranti del Maghreb, compresi donne e bambini.

“Quelli bloccati nella stiva non potevano salire sul ponte esterno” e per costringerli l’equipaggio “faceva ricorso alla violenza, con calci, pugni e colpi di cinghia” anche se “solo provavano a uscire la testa dai boccaporti”. Così una decina di migranti dei 312 sopravvissuti hanno ricostruito, davanti al Gip di Catania, il clima che ha portato alla morte di 49 di altri extracomunitari deceduti per asfissia sul peschereccio sul quale erano imbarcati soccorso dalla nave Cigala Fulgosi della marina militare italiana.

I testimoni hanno anche riconosciuto gli otto presunti scafisti del barcone: Ayooub Harboob, di 20 anni, libico, ritenuto il comandante; Tarek Laamami, di 19; i libici Mohamed Assayd e Alì Farah Ahmad, entrambi di 18; il sedicenne siriano J. M.; Mustapha Saaid, di 23 anni, marocchino; Abd Arahman Abd Al Monsiff, libico, 18 anni.

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