Obama in Kenya, sua terra di origine, tra lotta al terrorismo e difesa diritti gay

di Gabriella Ronza

Nairobi – Il presidente americano Barack Obama è sbarcato nel continente nero, più nello specifico in Kenya, sua terra di origine, dove ancora vivono molti suoi parenti, tanto che venerdì sera ha cenato in loro compagnia sedendo tra la zia (definita “nonna adottiva”) Sarah e la sorellastra Auma.

Suo padre, infatti, Barack Obama Sr. era un keniota di etnia Luo, nato a Nyang’oma Kogelo, nella provincia di Nyanza.

Il viaggio è risultato emozionante fin dai primi momenti: Obama è sbarcato con l’Air Force One salutando felice i presenti, ha abbracciato teneramente la sorellastra Auma, ha accettato l’omaggio floreale di una bambina, ha stretto la mano del presidente Kenyatta, ha firmato il guestbook e, poi, in auto è stato scortato verso il centro di Nairobi.

Tanti sono stati gli argomenti trattati durante l’inaugurazione del Global Entrepreneurs Summit inizialmente davanti a una platea di imprenditori, poi in conferenza stampa: la lotta alla povertà, il ruolo delle donne, la difesa dei diritti gay, la lotta ai jihadisti di al Shababb, l’appello per mettere fine al conflitto in Sud Sudan.

Gli incontri sono stati proficui: Obama, nel giardino del centro delle Nazioni unite che ospita la conferenza degli imprenditori africani, ha fatto esporre prodotti realizzati col sostegno di Power Africa, un’agenzia creata per favorire la diffusione dell’energia a basso costo nelle case e nelle piccole imprese africane. Prodotti concepiti per famiglie povere come la lampada solare di d-light (Costo 5 dollari e carica della durata di 4 ore) o il pentolone di Afrisol Biogas che trasforma gli escrementi in metano che alimenta lampade e generatori elettrici o ancora gli scooter elettrici a ricarica solare di Pfoofy Power.

Obama ha poi trattato il problema “crescita”. Il presidente ha delineato un quadro realistico della situazione: l’Africa è sì un continente pieno di problemi (corruzione, terrorismo, autoritarismo, poco rispetto per i diritti umani), ma è anche il continente che cresce più rapidamente (6% l’anno il Kenya).

Il presidente, in quello che è stato definito da Politico “probabilmente il viaggio più pericoloso compiuto da Obama da quando è presidente” per la presenza del gruppo estremista islamista Al Shabaab (tristemente noto per la strage nel campus universitario di Garissa), è dovuto anche scendere a compromessi.

Sabato 25 luglio è stato, infatti, ospite del leader Uhuru Kenyatta che fino a qualche tempo fa era sotto processo per crimini contro l’umanità, in particolare per avere istigato le violenze che causarono la morte di più di mille persone dopo le elezioni del 2007 (accuse cadute nel 2014).

“Meglio andare e parlare chiaro che boicottare” ha dichiarato Obama. “Abbiamo più possibilità di stimolare, incalzare i regimi autocratici venendo qui a parlare di diritti e di lotta alla corruzione” che isolandoli.

In realtà, con questi viaggi presidenziali, in Kenya e in Etiopia, gli Usa mirano a riprendere un rapporto privilegiato con una leadership che negli ultimi anni sembrava propendere verso l’orbita cinese. Inoltre, per quanto autoritari, questi regimi combattono attivamente il terrorismo di Al Shabaab (organizzazione del Corno d’Africa affiliata ad Al Qaeda).

“E’ importante continuare il lavoro per sradicare la capacità degli Shabaab di operare in Somalia. Dobbiamo continuare a fare pressioni, rafforzando al contempo il governo somalo, che è credibile e che sta collaborando con la comunità internazionale su diverse questioni. E dobbiamo anche rafforzare la collaborazione sul fronte dell’intelligence per scongiurare nuovi attacchi” ha, infatti, dichiarato al riguardo.

Obama si è mostrato soddisfatto fino ad ora. Il Presidente ha annunciato numerosi appelli. Per quanto riguarda il Sudan ha dichiarato: “Occorre che i leader del Sud Sudan mettano al primo posto il Paese” per mettere fine al conflitto in atto dal dicembre 2013.

Sulla questione omosessualità, per il presidente non ci sono giustificazioni: “Sono convinto che tutte le persone vadano trattate in modo uguale dalla legge. Devono avere la stessa protezione e lo Stato non deve discriminare”.

Sul ruolo delle donne, Obama si è mostrato entusiasta: “C’è sempre l’idea che le donne non hanno la capacità di creare un’impresa. Noi dobbiamo andare oltre i pregiudizi. Vogliamo sostenere l’imprenditorialità femminile”.

Come il segretario americano, John Kerry, anche Obama si è mostrato irremovibile sulla questione presidenziali in Burundi: “Non sono credibili”.

Toccante è stata la dichiarazione del presidente su un possibile ritorno: “Di una cosa sono certo, tornerò. Probabilmente senza questo vestito, ma tornerò. L’ultima volta ero qui in jeans. E torneranno anche Michelle, Malia e Sasha”.

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