Boschi: “E ora legge sul conflitto di interessi”

di Redazione

Roma – Entro giugno sarà chiesta la calendarizzazione in Aula della riforma sul conflitto di interessi. Ad annunciarlo, in un’intervista al Corriere, è il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi.

Dichiarandosi soddisfatta del risultato conseguito dal governo, non lesina qualche frecciata nei confronti di esponenti del suo partito: “Se tanti dei nostri ex leader ed ex premier avessero messo lo stesso impegno o la stessa tenacia che hanno messo nelle scorse settimane sui dettagli dell’Italicum, non toccherebbe a noi e avremmo già una legge. Ma il conflitto di interessi lo porteremo in Aula a breve”.

E sul possibile rischio scissione nel Pd, dopo l’abbandono del gruppo parlamentare di Civati, Boschi commenta: “Noi non la vogliamo, la stessa minoranza non la vuole. E non la vogliono gli italiani che sono stanchi delle polemiche e non sentono il bisogno di nuovi piccoli partiti. Questa legislatura ha numeri che non sono ballerini. La forbice tra maggioranza e opposizione si è allargata. La maggioranza è schiacciante”. Ma poi usa parole distensive: “Questo non significa che non si possa aprire una discussione di merito sulle riforme costituzionali”.

Intanto, il ministro si dice orgogliosa della nuova legge elettorale, ieri firmata dal presidente Mattarella. “Col ballottaggio avremo un vincitore certo. Con il premio alla lista non saranno più coalizioni litigiose e si impone ai partiti una riflessione sul loro ruolo”. Poi c’è la parità di genere, “un grande passo in avanti per l’Italia”, sostiene Boschi, e “un elemento di distinzione in tutta Europa”.
E la riforma della scuola? Al ministro “pare buona”. “Affermiamo l’autonomia, mettiamo tre miliardi in più dopo anni di tagli, coinvolgiamo di più studenti e famiglie, inseriamo l’alternanza scuola-lavoro, introduciamo la valutazione degli insegnanti legata al merito, incentiviamo arte, musica, inglese. Naturalmente tutto è migliorabile”, dice.

Boschi, infine, non ritiene “di destra” le misure finora adottate dal governo Renzi, citando gli 80 euro, meno tasse sul lavoro, divorzio breve, soldi al sociale. L’unico tabù che considera rotto è il fatto che il Pd è giunto al 40 per cento: “Non era mai accaduto”.

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