Anche Maradona in “The Youth” di Sorrentino

di Emma Zampella

Ha giocato con le storie e con le analogie tra la finzione e la realtà: Paolo Sorrentino arruola anche Diego Armando Maradona nel film “The Youth” in concorso a Cannes. Il regista nella sua ultima pellicola è riuscito a inserire il suo mito calcistico, il calciatore che negli anni ’90 ha dato lustro al Napoli e alla sua città.

Ma, in verità, quello del grande schermo non è proprio il giocatore argentino, ma si tratta di un attore, Roly Serrano, identico a parte il fatto che è obeso, costretto a camminare con un bastone: il sosia di Diego compare di tanto in tanto in momenti che sono vere e proprie chicche talvolta addirittura comiche. A un certo punto si rivolge a un bambino che suona il violino con la mano sinistra dicendogli: “Anche io sono mancino”. Il commento del suo dirimpettaio è: “Ma, cavolo, tutto il mondo sa che siete mancino…!”. Sorrentino non poteva perdere l’occasione per far esibire il personaggio in un palleggio che passerà alla storia del cinema: l’ex campione, in boxer, enorme, obeso, che si regge a malapena in piedi, si esibisce con una palla da tennis. Da applausi. In questa immagine il Maradona del film. Di seguito il regista e il cast di attori.

Un bambino che divide la scena con una bimba, che solo si mangia le unghie. Poi c’èl’eterea massaggiatrice “che non ha nulla da dire”, danza sola, il giovane divo americano (Paul Dano) sulla sdraio, fissa, solo, la piscina, dove nuota Maradona.

Solo, il grande compositore e direttore d’orchestra in pensione guarda una vecchia foto di se stesso accanto a un bella donna. Sul letto, sua figlia quarantenne piange, sola. Il vecchio famoso regista che sta scrivendo il finale del suo film, “L’ultimo giorno della vita”, è solo, in mezzo al pigro chiacchiericcio dei suoi giovani assistenti.

La giovinezza, stando alla critica, è il titolo ambiguo e forse irridente del nuovo film di Paolo Sorrentino, che poteva anche intitolarsi “La vecchiaia”, oppure “La solitudine”. Anche la scelta dei luoghi che lui documenta con una solennità che li rende belli e inquietanti, contribuisce a creare una specie d’incanto che va oltre la storia e la bravura di tutti gli interpreti. Il paesaggio ordinato e lucente delle montagne svizzere innevate, dei prati scoscesi, dei boschi ordinati, delle mucche sonnolente, pare nel suo incanto, vuoto di vita, e il candido lussuoso albergo Jugendstil con i suoi stretti corridoi, ricorda Shining. In fila, silenziose e come intorpidite, persone con lo stesso accappatoio bianco – immagine corale di solitudini individuali – che scendono mute all’inferno, ma alle cure, ai massaggi, a saune e manipolazioni estetiche: che promettono di fermare il tempo, di prolungare una giovinezza che non c’è più da troppo.

Ma ci sono diversi modi di affrontare la vecchiaia: il compositore inglese delle celebriCanzoni piacevoli, musica sinfonica contemporanea, si è ritirato e resiste all’ordine della regina Elisabetta di tornare a dirigere quelle canzoni per il compleanno del principe Filippo. Però inconsciamente crea musica stropicciando tra le dita la carta di una caramella, e smarrito tra i suoni della natura, il frinire delle cicale, il cinguettare di un uccello, lo scampanio e i muggiti delle mucche, li segue con i gesti di direttore d’orchestra. Invece il famoso regista lavora ancora appassionatamente, e quello che sta scrivendo sarà il suo capolavoro, il suo testamento.

 I due ottantenni sono Michael Caine e Harvey Keitel, amici e consuoceri, e passano il tempo a punzecchiarsi, ricordare vecchi amori condivisi, confrontare il funzionamento della loro renitente vescica. Fred ha il viso devastato dalla malinconia e dall’orgoglio, Mick, cioè Keitel, esprime quella frenetica energia di chi sente davanti a sé un baratro: tutti e due non hanno più una compagna, la loro solitudine è senza consolazione. La figlia di Fred, la bella Rachel Weisz, viene piantata dal marito Julian che si è innamorato di una cantante bruttina “molto brava a letto”. E lei attacca il padre per essere stato un pessimo genitore e ancor più un pessimo marito. Ma Fred ha un suo doloroso segreto, che gli crea incubi, immagini di puro Sorrentino come una notturna piazza San Marco a Venezia invasa dall’acqua.

In quell’albergo mortuario appare Hitler che è poi il giovane attore americano travestito per un suo prossimo ruolo, lasciando indifferenti gli ospiti, tranne l’anziana coppia tedesca che non parla mai ma si avvinghia ululando contro gli alberi del bosco. Poi arriva la grande diva del passato, Brenda Morel, per parlare col regista Mick: è una coraggiosa Jane Fonda, 77 anni, nella vita impegnata ad apparire giovinetta dedita al sesso, che ha accettato un personaggio ultraottantenne, e un trucco tutto un disastro di rughe; pur di lavorare con Paolo Sorrentino che dopo l’Oscar per La grande bellezza è il più chic dei registi internazionali. A 45 anni (il 31 maggio), il regista, autore anche del soggetto, e della sceneggiatura esorcizza conLa giovinezza una vecchiaia lontana che gli appare, ed è, una incerta e difficile tappa della vita.

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