Pizzo sui vini doc dell’Etna, scacco alla cosca Brunetto

di Redazione

Randazzo (Catania) – La mafia lucrava sul vino doc dell’Etna imponendo il “pizzo” ad alcune delle principali aziende vitivinicole attive tra Randazzo e Castiglione di Sicilia.

E’ questo lo scenario tratteggiato dall’indagine dei carabinieri del comando provinciale di Catania culminata la notte scorsa nell’esecuzione di 15 ordini di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti della cosca Brunetto, un’articolazione della famiglia Santapaola che operava nella fascia ionica della provincia.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, tra le vittime del clan almeno sette aziende vinicole, alcune di fama nazionale, alle quali sarebbe stato chiesto una tangente annua compresa tra mille e 12mila euro, secondo il fatturato della società.

Ma anche un “pizzo” di 500 euro mensile legato alla “guardiania” di vigneti e frutteti, o attraverso l’assunzione di personale. Chi non si metteva in “regola” continuava a subire danneggiamenti, come il taglio di alberi da frutto, uliveti e filari di viti. In quel caso, come emerge da un’intercettazione, l’invito era “di cercarsi un amico, ma d’urgenza…”. Non tutte le aziende hanno ceduto al ricatto. E la rappresaglia era garantita: “Poi i cavalli – ordinano telefonicamente dai vertici del clan – glieli bruci nella stalla, ci vai e gli dai fuoco…”.

Le attività investigative sono state avviate dai carabinieri della compagnia di Randazzo e del comando provinciale di Catania alla fine del 2012. E nell’aprile del 2013, a Giarre, militari dell’Arma sono riusciti a interrompere un ‘summit’ di mafia dove si stavano delineando strategie criminali.

Il gruppo aveva una grande paura di essere intercettato, tanto da essere in possesso di strumentazione all’avanguardia per ‘bonificare’ locali e auto da ‘cimici’ e invitava alla cautela preventiva.

Le indagini dei carabinieri sono state coordinate dal procuratore distrettuale Giovanni Salvi e dal sostituto della Dda di Catania, Iole Boscarino.

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