25 Aprile: a 70 anni dalla Liberazione siamo realmente liberi?

di Gabriella Ronza

“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”. Così parlava Sandro Pertini a Milano, il 25 aprile 1945, ad un’Italia stremata che aveva dovuto subire la sconfitta mondiale e la procrastinata occupazione di un popolo straniero, quello tedesco. Mancavano ancora alcuni mesi alla fine dell’incubo per l’intero mondo. Mancava, infatti, l’atomica sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki da parte degli americani e alla fine il bilancio dei morti superò i 55 milioni.

È stata la guerra moderna più dura, che è ancora impressa nella memoria di tutti e su cui si continua a ragionare dettagliatamente, cercando una spiegazione logica nei riguardi degli abomini e dei crimini che furono compiuti.

La storia. Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui, in mattinata via radio, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari per la Libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa, giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate. Entro il 1 maggio tutta l’Italia settentrionale fu liberata. La Liberazione mise fine al ventennio fascista e a cinque anni di guerra. Su territorio italiano, la resa definitiva delle forze nazifasciste all’esercito alleato si ebbe il 3 maggio.

Il 25 aprile è divenuto, quindi, simbolo della resistenza e della tenacia di un ideale. I partigiani hanno creduto fermamente alla libertà e davanti a un senso così alto di patriottismo e di onore, che si possa essere di un partito o di un altro o che si voglia credere che la storia non è così univoca, non si può fare altro che emettere un sospiro di grande ammirazione.

È la fede in un obiettivo unitario che manca alle nazioni moderne, qualcosa che possa solidificare il popolo e addirittura che lo spinga ad insorgere. A 70 anni dalla liberazione il popolo mondiale e, in particolare, quello italiano non si può definire così libero.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un’intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica”, ha dichiarato: “La resistenza italiana mostrò al mondo la volontà di riscatto degli italiani, dopo anni di dittatura e di guerra di conquista” e ancora “talvolta si rischia di inaridire il modo di guardare alle istituzioni democratiche, pur con tutti i difetti che se ne possono evidenziare”.

Il suo messaggio è stato chiaro: la democrazia si riafferma, non abbassando mai la guardia.

“L’indifferenza è il peso morto della storia. E l’indifferenza opera potentemente nella storia”, scriveva Antonio Gramsci nel 1917. Il fascismo lo avrebbe ucciso nel 1937.

Le catene moderne partono da un unico sentimento che è appunto l’indifferenza, un’indifferenza che sta ricomponendo un mondo assurdamente simile alla realtà pre seconda guerra mondiale.

Si richiedono dittature affermate per combattere una democrazia che spesso è diventata “dittatura occulta”, si riparla di odio razziale e di guerra allo straniero, come ad un capro espiatorio, e così s’infanga la memoria delle sofferenze del passato, di quei nostri avi che hanno dato la vita per ciò che credevano giusto e in nome di un futuro che non avrebbero voluto vedere come quello che è oggi.

Se “la storia la scrivono i vincitori”, come si potrebbe affermare, è anche vero che il presente lo scriviamo noi e se qualcuno non crede nella liberazione di quel 25 aprile 1945 possa almeno credere nella liberazione di oggi, possa almeno credere di essere “partigiano” della sua resistenza personale contro un mondo d’Occidente che vuole parlare poco di guerra ma che intrappola sempre di più.

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