Censis: oltre 60% italiani ha paura di finire in povertà

di Redazione

 Roma. Più diseguaglianze, meno integrazione, ceto medio corroso dagli effetti della crisi.

E’ la fotografia dell’Italiasecondo il 48esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, che ritrae un popolo vulnerabile, dove vincono l’ attendismo e il cinismo, e dove con la paura di finire in povertà, prevale il “bado solo a me stesso”.

L’Italia “ha fatto della coesione sociale un valore e si è spesso ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine – si legge nel rapporto – ma leproblematicità ormai incancrenite di alcune zone urbanenon possono essere ridotte ad una semplice eccezione”.

Un paese dal capitale umano “dissipato”, dove si contano tre milioni di disoccupati, 1,8 milioni di inattivi e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare.

Il picco negativo della crisi è ormai alle spalle, ne è convinto il 47% degli italiani, il 12% in più rispetto allo scorso anno. Ma per oltre il 60% può capitare a chiunque di finire in povertà. Quota che sale al 67% tra gli operai e al 64% tra i 45-64enni. Una delle conferme viene anche dal tasso di natalità: in Italia si fanno sempre meno figli, per 8 su 10 è colpa proprio della crisi.

L’incertezza sul futuro si riflette anche sulla gestione dei soldi da parte delle famiglie. A giugno 2014 è cresciuta fino a 1.219 miliardi di euro la massa finanziaria liquida di contanti e depositi bancari delle famiglie italiane. Il 44,6% dei nuclei familiari destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, il 36,1% lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte.

Secondo le stime del Censis, inoltre, 6,5 milioni di persone negli ultimi 12 mesi, per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto integrare il reddito familiare mensile con risparmi, prestiti, anticipi di conto corrente o in altro modo, magari per affrontare una spesa imprevista.

Un altro scenario è quello del mondo del lavoro, nel quale il Censis parla di capitale umano “dissipato”. Con quasi 8 milioni che tra disoccupati, inattivi e scoraggiati aspettano di essere “valorizzati e instradati” verso un mercato del lavoro per tradurre “il loro potenziale in energia lavorativa e produttiva”.

E i più penalizzati sono i giovani, quelli tra i 15 e i 34enni che costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali, ma anche i Neet, quell’esercito di ragazzi tra i 15 ei 29enni, in continua crescita, che non studiano né cercano lavoro, e che sono passati dal 1.832.000 del 2007 a 2.435.000 del 2013.

E anche chi lavora non vede valorizzate le sue competenze. Un laureato su due in economia è sottoinquadrato, così come un ingegnere su tre e due laureati in scienze sociali e umanistiche su cinque. Da qui il Censis denuncia il fenomeno dell'”overeducation”: più di quattro milioni di lavoratori ricoprono posizioni per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto. Meglio solo medici e infermieri che si collocano sotto il 20%.

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