Kobane, continuano raid aerei. Appello del Papa contro il terrorismo

di Stefania Arpaia

 Kobane. La città di Kobane, simbolo della resistenza curda, ha visto anche nella giornata di lunedì nuovi scontri. Decine i jihadisti uccisi in seguito a nuovi raid aerei e ai combattimenti dei peshmerga, i guerriglieri curdi.

La situazione inizierebbe a migliorare in base a quanto riferito dal vicepresidente del governo locale di Kobane, Khaled Barkal, secondo cui i jihadisti avrebbero iniziato negli ultimi giorni, a ritirarsi da alcune aree della città.

A Raqqa, roccaforte dell’Isis, sono continui gli appelli che provengono dalle moschee della città, per raccogliere il sangue necessario ai feriti ricoverati negli ospedali locali.

Drammatiche le testimonianze riportate dal Wall Street Journal di bambini di soli 12 anni reclutati dal movimento islamico. In precedenza i piccoli venivano scelti e dopo vari mesi di addestramento venivano inviati in campi di battaglia. Ora invece, nel giro di poche ore, si ritrovano ad imbracciare armi.

Secondo l’Osservatorio siriano sarebbero 370 le vittime tra i combattenti islamici, ma in base a quanto riferito da un attivista di Raqqa “nonostante le perdite umane e territoriali, l’Isis sarebbe pronto a immolare 10mila combattenti e non accetterà mai di perdere”. Intanto, sarebbero 200 i curdi intrappolati dai jihadisti proprio mentre la Turchia avrebbe dato la possibilità ai peshmerga di attraversare il loro territorio per raggiungere Kobane.

Immediato l’appello del Papa: “Il terrorismo nelle due regioni ha toccato dimensioni prima inimmaginabili e i cristiani sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case in maniera brutale, purtroppo nell’indifferenza di tanti”.

Si appella all’Onu anche il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin: “Nel caso specifico delle violazioni e degli abusi commessi dal cosiddetto Stato Islamico – ha detto – la Comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite e le strutture che si sono date per simili emergenze, dovrà agire per prevenire possibili e nuovi genocidi e per assistere i numerosi rifugiati”.

Il cardinale ha aggiunto: “Il primo passo urgente per il bene della popolazione della Siria, dell’Iraq, e di tutto il Medio Oriente è quello di deporre le armi e di dialogare. La distruzione di città e villaggi, l’uccisione di civili innocenti, di donne e bambini, di giovani reclutati o forzati a combattere, la separazione di famiglie, ci dicono che è un obbligo morale di tutti dire basta a tanta sofferenza e ingiustizia”.

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