Le mani della camorra sulla discarica di Chiaiano, 17 arresti

di Redazione

 Caserta. 17 ordinanze di custodia cautelare, otto in carcere e nove ai domiciliari, sono state eseguite dai carabinieri del comando provinciale di Caserta e del Noe di Napoli nell’ambito di un’indagine sulla gestione illecita della discarica di Chiaiano (Napoli) da parte della fazione Zagaria del clan dei casalesi.

In carcere: Giuseppe Tartaglia Carendente, 53 anni; Giovanni Tartaglia Carendente, 46; Franco Tartaglia Carendente, 49; Mauro Tartaglia Carendente, 34; Vitale Diener, 49; Gregorio Chimenz, 38; Paolo Viparelli, 46. Ai domiciliari: Mario Tartaglia Carendente, 81; Antonio Granozio, 48; Pasquale Apicella, 38; Adelio Pagotto, 56; Michele Mirelli, 63; Cosimo Francesco Nicola Catapano, 67; Carlo Carleo, 46; Giovanni Capasso, 46; Giovanni Perillo, 49.

Le accuse, a vario titolo, sono di associazione a delinquere di stampo camorristico, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, truffa, frode nelle pubbliche forniture, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, con l’aggravante della finalità di aver agevolato la camorra. L’attività di indagine – incentrata sugli interessi economici e imprenditoriali della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti e, in particolare, nell’ambito dei lavori di realizzazione e gestione della discarica di Chiaiano (Napoli) – ha avuto inizio nel 2008 e si è conclusa nel dicembre del 2013.

Si è sviluppata, in particolare, su tre filoni investigativi: l’infiltrazione camorristica negli appalti della suindicata discarica cittadina, le modalità di gestione della stessa e le false attestazioni redatte dai funzionari pubblici, che hanno consentito agli amministratori delle società Ibi Idrobioimpianti spa e Edilcar, riconducibili ad alcuni degli indagati, di proseguire senza interferenze i lavori all’interno della discarica, conseguendo nel tempo illeciti profitti.

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Le investigazioni, condotte dai carabinieri anche attraverso attività d’intercettazione e riscontrate da dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, hanno consentito di ricostruire il legame dell’indagato Giuseppe Carandente Tartaglia con esponenti apicali delle organizzazioni camorristiche dei Nuvoletta di Marano e dei Mallardo di Giugliano prima e, successivamente, dei Polverino di Marano.

Ma il legame criminale più forte è stato senz’altro quello che l’indagato ha instaurato con la famiglia Zagaria, per cui gli è stata contestata la partecipazione al sodalizio dei casalesi, fazione Zagaria, capeggiata da Michele e Pasquale Zagaria.

Sulla base della ricostruzione accusatoria avvalorata dal gip, Carandente, in qualità di imprenditore operante nello strategico settore della gestione del ciclo legale e illegale dei rifiuti, ha fornito ad esso un rilevante contributo, consentendo, tra l’altro, agli esponenti del sodalizio camorristico di partecipare alle attività imprenditoriali del settore attraverso la copertura delle sue aziende.

Nel periodo lunghissimo dell’emergenza rifiuti, la Fibe ha sottoscritto con società riconducibili alla famiglia Carandente ben 63 contratti per il trasporto ed il movimento terra, nonché per la realizzazione di lavori vari, molti dei quali puntualmente subappaltati dalla Ibi Idroimpianti.

Le dichiarazioni rese in merito dai collaboratori di giustizia hanno confermato quello che il quadro probatorio aveva già reso evidente: un consistente rapporto imprenditoriale esistente tra le imprese dei fratelli Carandente Tartaglia e la Fibe. Tale rapporto ha rappresentato il presupposto necessario a che la Fibe-Fisia operasse con relativa tranquillità nel territorio, in assenza di eclatanti conflitti tra i gruppi criminali locali e le imprese impegnate nel settore.

La possibilità di assicurare alla criminalità organizzata, attraverso le imprese del Carandente Tartaglia, una parte delle risorse ottenute da Fibe-Fisia, ha evidentemente enfatizzato il ruolo del Carandente (longa manus di Michele Zagaria) quale “interfaccia” con la pubblica amministrazione. Sono state altresì ben delineate le connessioni esistenti tra le società Ibi Idrobioimpianti spa (della famiglia D’Amico e colpita il 15 dicembre 2010 da interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Napoli, impresa leader nel settore che ha lavorato anche per la realizzazione e gestione della discarica Bellolampo di Palermo) e la Edilcar Srl della famiglia Carandente Tartaglia.

Riscontrate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che avevano individuato nel duo Ibi Idrobioimpianti-Edilcar un binomio già da anni legato alla famiglia Zagaria. Le attività di intercettazione hanno, fra l’altro, evidenziato che i Carandente Tartaglia erano sicuri di essere destinatari di lavori per la realizzazione della discarica di Chaiano molto prima della conclusione della procedura di gara.

Sotto il profilo della normativa ambientale, si è poi accertato che, con riferimento alla discarica cittadina, che i lavori di realizzazione dell’invaso sono stati effettuati in violazione degli obblighi contrattuali e in difformità dal progetto approvato, utilizzando materiale non idoneo allo scopo, quale argilla proveniente da cava non autorizzata o argilla mista a terreno. Rilevata, inoltre, la costante attivazione di traffici illeciti di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da terra e rocce provenienti da cantieri stradali e edilizi, utilizzati per i lavori di modellamento della discarica. Tali condotte hanno consentito guadagni e profitti illeciti doppi: oltre ad evitare gli oneri dovuti per legge per il corretto avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti, si è infatti aggiunto il cospicuo guadagno dovuto alla successiva commercializzazione del rifiuto, surrettiziamente qualificato quale terreno vegetale per la realizzazione della stessa discarica di Chiaiano. Il tutto evadendo sistematicamente la normativa fiscale e quella sulla correttezza della documentazione attestante il trasporto dei rifiuti.

Si è proceduto ad una complessa perizia nelle forme dell’incidente probatorio, che ha consentito di far emergere, nella realizzazione della discarica, notevoli difformità dal progetto esecutivo.Gli accertamenti tecnici hanno evidenziato che i 6 argini di discarica sottoposti ad esame erano in realtà non conformi alle prescrizioni: conseguentemente sono stati sottoposti agli arresti domiciliari tutti i membri dell’apposita commissione, che attraverso le loro false attestazioni hanno consentito alla Ibi Idrobioimpianti e alla Edilcar di continuare a gestire la discarica e a ottenere i pagamenti relativi agli stati di avanzamento dei lavori, nonostante gli illeciti commessi.

Le difformità riscontrate, l’utilizzo di materiali non a norma e di tecniche di impermeabilizzazione non conformi alle normative standard, impongono la massima attenzione da parte delle autorità competenti nella gestione e nel monitoraggio della discarica per la sua duratura messa in sicurezza.

Il gip ha disposto il sequestro preventivo delle imprese riconducibili agli indagati ed ha attivato, su richiesta della Procura della Repubblica, la procedura per l’applicazione dell’interdizione dall’esercizio dell’attività in materia di responsabilità delle persone giuridiche.

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