Palermo, le mani della mafia sul mercato ortofrutticolo: sequestri per 250 mln

di Redazione

 Palermo. Maxi sequestro di beni , del valore di oltre 250 milioni di euro, eseguito dalla Dia contro il clan Galatolo, famiglia mafiosa dell’Acquasanta, nell’ambito dell’inchiesta sulle infiltrazioni di Cosa nostra nel mercato ortofrutticolo di Palermo.

Colpite attività economiche riconducibili, direttamente ed indirettamente, a Angelo Ingrassia, 57 anni, Giuseppe Ingrassia, 57, Pietro La Fata, 81, Carmelo Vallecchia, 74, e Giuseppe Vallecchia, 53, tutti palermitani, ritenuti vicini e contigui a Cosa nostra, in particolare ai Galatolo.

I cinque, titolari di vari stand all’interno del mercato ortofrutticolo, profondi conoscitori del “metodo di funzionamento” dello stesso, secondo gli investigatori monopolizzavano l’attività del mercato palermitano anche attraverso l’utilizzo dei servizi forniti dalla cooperativa “Carovana Santa Rosalia” (compravendita di merce, facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale di imballaggio).

Nel corso dell’indagine sono stati raccolti elementi che hanno indotto a ritenere l’esistenza, all’interno del mercato, di una regia occulta in grado di “prestabilire” il prezzo dei beni posti in vendita, cui gli operatori del settore dovevano uniformarsi, e di controllare il trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale ed i principali mercati di approvvigionamento delle derrate alimentari, ubicati in centro Italia, nonché “gestire” le attività connesse al commercio svolto all’interno del mercato stesso, ad opera di “cosa nostra”.

Le dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia hanno evidenziato il totale controllo da parte di Cosa nostra di un importante settore economico locale, provocando una grave distorsione del mercato ed eliminando, di fatto, qualsiasi forma di concorrenza con la conseguente imposizione dei prezzi, garantendo all’organizzazione criminale la possibilità di conseguire ingenti guadagni attraverso attività solo apparentemente lecite.

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La forza intimidatrice esercitata dal clan si manifestava attraverso l’imposizione dei prezzi e delle forniture. L’inquinamento del tessuto economico, avvenuto mediante l’immissione di denaro di sicura provenienza illecita, non si è limitato all’acquisizione di attività commerciali “lecite”, ma ha “occupato” interi settori del terziario, strettamente legati alle attività di vendita dei prodotti ortofrutticoli all’interno del mercato. Tutto ciò ha provocato una grave e profonda alterazione di tale tessuto economico che, privo delle regole proprie di un libero mercato, risulta fortemente condizionato da Cosa nostra.

Ai riscontri sulle convergenti dichiarazioni dei pentiti, la complessa attività svolta dalla Dia ha fatto anche emergere una totale sperequazione tra i redditi dichiarati dagli indagati ed i beni posseduti dagli stessi. Ulteriori elementi, che hanno rafforzato l’ipotesi investigativa sull’infiltrazione mafiosa nel mercato, si traggono dalle ordinanze cautelari, emesse dal giudice per le indagini preliminari di Napoli, in cui viene contestato agli indagati (tra i quali si annovera anche Gaetano Riina, 81 anni, fratello del noto capo mafia Totò Riina) di controllare il trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano e da questi verso quelli del Sud Italia, interessando, in particolare, i mercati siciliani di Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala.

Fra i beni sequestrati: 20 immobili (terreni, appartamenti e box); 13 aziende; 14 veicoli; numerosi rapporti finanziari; per un valore complessivo di oltre 250 milioni di euro.

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