La “holding” della camorra tra Napoli, Roma e Firenze: 90 arresti

di Redazione

 Roma. 90 persone arrestate e beni per 250 milioni sequestratinell’ambito di un’operazione, coordinata dalle Dda di Napoli, Roma e Firenze, contro il clan camorristico dei Contini.

Sequestrati beni per 250 milioni di euro e oltre venti locali situati nel centro storico di Roma. L’inchiesta ruota intorno le figure di Eduardo Contini e Patrizio Bosti, i due boss in grado di riciclare in una fitta trama di società milioni di euro accumulati negli anni con i traffici di sostanze stupefacenti e soprattutto del falso.

E’ l’inchiesta più vasta realizzata finora sul clan Contini e riguarda, in particolare, le operazioni di reinvestimento dei proventi economici di gruppi camorristici in imprese e operazioni economiche a Napoli e in altre zone della Campania, a Roma e in Toscana. Tra i beni sequestrati a Roma alcuni bar e ristoranti “Pizza Ciro”, in piazza Navona, via del Corso e zona Pantheon, che apparterrebbero alla famiglia Righi, originaria di Napoli.

A Roma, uno degli indagati, Giuseppe Cristarelli, 43 anni, di Napoli e residente a Roma in via Banfi, accusato di concorso nei reati di usura ed estorsione aggravati dalla finalità mafiosa,si è tolta la vita prima dell’arresto. Agli agenti che gli notificavano il provvedimento ha detto di sentirsi male e di voler prendere un bicchiere d’acqua, ma ha aperto la finestra del suo appartamento al quarto piano, dove abitava con la moglie, e si è lanciato nel vuoto.

Nel mirino gli interessi imprenditoriali delle famiglie Righi, a Roma, in particolare la ristorazione, e Di Carluccio, a Napoli, che gestisce numerosi impianti di distribuzione di carburante.

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Il commercio di abbigliamento.

Accanto a tali attività, è pure emersa una rete imprenditoriale (anch’essa di chiara matrice camorristica) operante nel settore del commercio di capi di abbigliamento (tra l’altro, prodotti da un’azienda di Prato, la “Castellani”, dove è stato sequestrato materiale di interesse), successivamente messi in vendita a Napoli ed in altre parti del territorio nazionale attraverso canali commerciali irregolari.

Il clan camorristico Contini. Si tratta di uno dei più radicati, articolati e potenti gruppi camorristici campani: insieme ai Mallardo di Giugliano e ai Licciardi di Secondigliano è perno della cosiddetta “Alleanza di Secondigliano”. Edoardo Contini ed i suoi più stretti fiduciari rappresentano, infatti, sono il fondamentale polo di riferimento del complesso della attività illecite realizzate in alcuni storici quartieri della città (Vasto-Arenaccia-Ferrovia, San Carlo all’Arena, Borgo Sant’Antonio Abate, Poggioreale). Contini, attualmente detenuto in regime speciale, ha diretto ed organizzato il clan almeno sino al suo arresto, avvenuto il 15 dicembre 2007, all’esito di un lungo periodo di latitanza, favorita da un’imponente rete di fiancheggiatori. Usura. Contini è stato tratto in arresto per associazione mafiosa, come il cognato Antonio Aieta, mentre sua moglie Maria Aieta è stata arrestata per il suo pieno coinvolgimento in fatti di usura ed estorsione nei confronti di una famiglia di commercianti di abbigliamento con esercizi nella zona del Ponte di Casanova, i Vinciguerra; Patrizio Bosti, cognato di Contini (e del capo della famiglia camorristica di Giugliano, Francesco Mallardo), stato tratto in arresto in Spagna nel mese di agosto 2008 ed anch’egli attualmente detenuto in regime speciale, ha assunto il comando dell’organizzazione dopo l’arresto di Contini, anche per il tramite della moglie Rita Aieta e del figlio Ettore Bosti (anch’essi destinatari dell’ordinanza cautelare che è stata eseguita oggi per associazione mafiosa). Pure la terza delle sorelle Aieta, Anna (peraltro moglie del capoclan di Giugliano, Francesco Mallardo), è stata arrestata, anch’essa per gli episodi estorsivi in danno dei Vinciguerra. Coinvolti, tra gli altri, Giuseppe Ammendola, latitante dal 2012, Salvatore Botta, ritenuto figura apicale nel territorio del Rione Amicizia, la moglie Rosa Di Munno, l’omonimo nipote Salvatore Botta, i commercianti Mario Ambrosio, Antonella Imperatore, Maurizio Delle Donne, ed i coniugi Roberto Moccardi e Anna D’Orta, Paolo Di Mauro, arrestato in Spagna nel gennaio del 2010 ed attualmente detenuto in regime speciale.

La mensa dell’ospedale “San Giovanni Bosco” di Napoli. Posto in essere il sequestro preventivo delle società titolari delle attività di mensa, bar e ristorazione all’interno dell’ospedale napoletano “San Giovanni Bosco”, riferibili ad un affiliato al clan Contini, Giuseppe De Rosa, tratto in arresto sia per partecipazione alla predetta associazione che in relazione al suo coinvolgimento in gravissimi episodi di usura ed estorsione. A De Rosa è stata pure sequestrata la società titolare di un ristorante sito a Curti, in provincia di Caserta.

I parcheggi. Vanno pure evidenziati i sequestri effettuati in danno degli imprenditori legati a Salvatore Botta: la società di gestione di aree di parcheggio in prossimità di stazioni ferroviarie, A.M. Parking Srl, condotta da Salvatore Musella (tratto in arresto per reinvestimento di proventi delittuosi del clan), nonché alcune società commerciali di cui sono titolari Mario Ambrosio ed Antonella Imperatore e che operano nel settore della vendita (all’ingrosso o con il sistema del porta a porta) di capi di abbigliamento prodotti da aziende di rilievo nazionale.

Il gruppo d’impresa Di Carluccio. Esso ruota intorno ai fratelli Ciro, Antonio e Gerardo, figli del defunto Edoardo Di Carluccio, contrabbandiere negli anni ’70 legato ai Nuvoletta. A Ciro ed Antonio è contestata l’organica partecipazione al clan Contini, mentre a tutti è contestata la direzione di un’autonoma associazione a delinquere finalizzata al reinvestimento di proventi criminali delle attività di tale organizzazione in aziende commerciali di diversa tipologia. Le ricostruzioni investigative hanno dimostrato che a metà degli anni ’90 i Di Carluccio cominciarono ad acquisire impianti di distribuzione di carburante (il primo fu quello di un’area di servizio sita lungo la Tangenziale di Napoli), sia accompagnando le trattative ad atti di intimidazione, che investendo in tali attività ingenti provviste di non chiara provenienza, posto che essi – oltre ad essere del tutto estranei a quel settore imprenditoriale – avevano dichiarato redditi bassissimi o addirittura inesistenti.

Sia le dichiarazioni di collaboratori di giustizia che altri elementi acquisiti nel corso delle indagini hanno evidenziato che Ciro Di Carluccio è stato coinvolto, sia all’epoca dell’acquisizione di impianti di distribuzione di carburante che successivamente, in episodi estorsivi ed ha progressivamente assunto – secondo le risultanze investigative della squadra mobile di Napoli – il ruolo di fiduciario della famiglia Contini, specie nel periodo in cui Edoardo trascorreva la sua latitanza. Sequestrati 49 imprese, di cui 30 esercenti l’attività di impianti di distribuzione stradale di carburanti, 11 attività di bar, 4 di torrefazione di caffè, una di commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, una di gestione di immobili, oltre ad una gioielleria; 27 unità immobiliari (11 unità abitative, tra le quali una villa ad Ischia e 16 unità commerciali); un terreno; 478 rapporti finanziari (conti correnti, titoli, depositi, obbligazioni e cassette di sicurezza) intrattenuti presso 44 istituti di credito. Il valore complessivo dei beni caduti in sequestro è stato stimato in circa 180 milioni di euro.

Il gruppo d’impresa Righi. A Roma ed in Versilia si registra la presenza di un altro assai significativo gruppo imprenditoriale, diretto dai fratelli napoletani Salvatore, Antonio e Luigi Righi, trasferitisi a Roma a metà degli anni ’90, dove hanno progressivamente creato anch’essi una vera e propria holding nel settore della ristorazione che, operando, per lo più con il noto marchio “Pizza Ciro”, si è insediata stabilmente, con svariati locali, nelle zone di pregio del Centro storico della capitale (in particolare, nelle prestigiose zone di piazza Navona, del Pantheon e di piazza di Spagna). Ad essi è contestato il concorso esterno al clan camorristico Contini (ad Antonio, anche la medesima condotta con riferimento all’omologa famiglia criminale dei Mazzarella), nonchè la direzione di un’autonoma associazione a delinquere finalizzata al reinvestimento di proventi criminali delle attività di tale organizzazione in molteplici società commerciali.

Snodo decisivo ai fini di una compiuta comprensione della storia criminale ed economica della famiglia Righi, è costituito dal sequestro di persona a scopo di estorsione commesso nel 1983 a danno di Luigi Presta, notissimo gioielliere partenopeo le cui attività ruotavano nella zona del cosiddetto Buvero, zona della città di Napoli nota proprio per la presenza di gioiellerie ed orefici, che all’epoca destò enorme scalpore. Il sequestro si concluse con la liberazione dell’ostaggio nel mese di marzo 1983, con il pagamento di un riscatto ammontante ad un miliardo e 700 milioni di lire. Le indagini dell’epoca dimostrarono che il sequestro era stato organizzato da esponenti della Nuova Famiglia (il cartello camorristico allora contrapposto alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo) e che nelle successive operazioni di riciclaggio erano coinvolti taluni componenti della famiglia Righi. Qualche anno dopo, Salvatore e Luigi Righi vennero infatti condannati a sei anni di reclusione per il riciclaggio di parte della somma pagata per il riscatto del gioielliere.

Negli anni successivi al sequestro, i Righi, come riferito anche da numerosi collaboratori di giustizia, avviavano una prima fase di acquisizioni societarie e commerciali nella città di Napoli nelle quali comparivano come soci della varie attività i genitori Ciro Righi e Maria Stasio. Nel 1997 i Righi iniziano il loro insediamento a Roma e ciò avviene anche per il tramite di Alfredo Mariotti, soggetto legato alla criminalità organizzata campana e romana ed in particolare a Giuseppe Cillari, a sua volta massima espressione, nella città di Roma, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, della Nuova Famiglia, deceduto nel corso del processo che lo vedeva imputato della strage che nel gennaio 1983 provocò la morte di Vincenzo Casillo (braccio destro di Cutolo). I fratelli Righi sono quindi emersi come stabili riciclatori dei profitti illeciti del clan Contini, ai cui dirigenti, Giuseppe Ammendola e Antonio Cristiano, Salvatore Righi corrispondeva periodicamente somme di denaro contante, costituenti il provento delle attività di riciclaggio svolte per conto del clan (operazioni di “money back”). Il vincolo con il clan Contini non impediva peraltro ai Righi di proporsi quale punto di riferimento sulla Capitale per altri sodalizi camorristici. Le indagini hanno, infatti, rivelato la vicinanza di Antonio Righi anche al clan Mazzarella, avendo egli svolto attività di riciclaggio e supporto logistico per conto di Oreste Fido e Salvatore Zazo, reggente del gruppo di Paolo Ottaviano operante in zona Mercato-Santa Lucia a Napoli, nonché la vicinanza di Ivano Righi, figlio di Salvatore, al clan degli “scissionisti” di Secondigliano che ancora attualmente controllano le importazioni di cocaina dalla Spagna.

La squadra “Mariano Keller”. A Napoli la famiglia Righi ha negli anni mantenuto delle basi operative rappresentate da alcuni locali e dal centro sportivo e dalla società sportiva “Mariano Keller”, titolare di una squadra di calcio attualmente militante nel campionato di Serie D – girone H. Il mondo del calcio delle serie minori è un settore in cui i Righi hanno nel tempo investito per impiegare le ingenti somme di denaro nero a loro disposizione e, in tale ambito, le indagini hanno svelato un intervento del clan Contini, su richiesta di Salvatore Righi, nei confronti di alcuni calciatori del Real Marcianise, affinché perdessero un incontro con il Gallipoli Calcio che, a conclusione della stagione 2008/2009 del campionato di Lega Pro, girone B, aveva bisogno di una vittoria per accedere alla serie B, cosa che effettivamente avvenne.

I Righi, per realizzare nel tempo tali complesse operazioni economiche, si sono avvalsi di fiduciari di varia estrazione, come Fedele Giannandrea o come il commercialista Simone Polito, gestore della struttura contabile-amministrativa a disposizione dell’organizzazione stessa o, ancora, come il promotore finanziario Luca Sprovieri, utilizzato per specifiche operazioni di riciclaggio (destinatario, unitamente al commercialista Rosario Apicella, della misura interdittiva del divieto di esercitare professioni nel settore finanziario e contabile).

Sequestrati beni per oltre 50 milioni di euro: 28 esercizi commerciali di cui 27 bar/ristoranti/pizzerie ed un centro estetico, ubicati 23 a Roma, 3 a Napoli e provincia, uno a Viareggio, uno a Gabicce Mare, per un valore stimato complessivo di 40 milioni di euro; 42 beni immobili, ubicati in Roma (17 fabbricati), Napoli (12 fabbricati), Caserta (5 fabbricati), Benevento (7 terreni), Rieti (1 terreno), per un valore complessivo di 10 milioni di euro; 385 rapporti finanziari/bancari; 76 veicoli, di cui 57 autovetture, 1 roulotte, 18 motocicli; 71 società titolari di parte dei suddetti beni (per un valore complessivo delle quote societarie pari a circa 2 milioni di euro); la società sportiva dilettantistica “Mariano Keller arl” nonchè il relativo centro sportivo, ubicato a Napoli e dotato di 5 campi di calcio e calcetto, due palestre e due bar, per un valore di due milioni di euro.

La gara truccata tra Gallipoli e Marcianise. Dalle indagini è emerso che Salvatore Righi (in passato presidente della Massese Calcio, che militava in C1, e direttore generale della Arzanese che militava in C2) nel maggio 2009, insieme al figlio Ivano, mise in atto una frode sportiva in favore della squadra di calcio del Gallipoli, che allora militava nel campionato di Lega Pro, prima Divisione girone B, ed era allenata dall’ex calciatore Giuseppe Giannini. Prima della partita Gallipoli-Real Marcianise, valevole per il campionato di Lega Pro girone B, stagione 2008/2009, Salvatore e Ivano Righi, Giuseppe Giannini e Luigi Dimitri (questi ultimi rispettivamente allenatore e direttore sportivo del Gallipoli Calcio), si accordavano per consegnare la somma di cinquantamila euro a calciatori del Real Marcianise, tra cui Michele Murolo, Massimo Russo ed altri non identificati, affinché questi si adoperassero per il raggiungimento di un risultato comunque favorevole alla squadra salentina, che in effetti si aggiudicava il decisivo l’incontro con il risultato di 3 a 2 conseguendo, così, grazie all’illecito, la promozione nella serie superiore e cioè in Serie B.

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