Morto dopo ricovero al “Moscati”, continuano le indagini

di Nicola Rosselli

 Aversa. Continuano le indagini sulla morte di Emanuele De Carlo, il 52enne di Sant’Antimo deceduto il 27 dicembre scorso presso l’ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino dove era giunto, per effettuare alcuni esami presso il reparto di emodinamica, …

… dall’omonimo nosocomio di Aversa, dove era stato ricoverato il giorno di Natale e dove, secondo la denunzia dei familiari, non avrebbe subito cure adeguate. Una versione che non trova affatto d’accordo la dirigenza della struttura ospedaliera aversana e della stessa Asl casertana dalla quale si evidenzia che, stando alla testimonianza del loro rappresentante presente all’esame necroscopico che è stato effettuato nel capoluogo irpino, l’autopsia avrebbe evidenziato una grave forma di ipoplasia coronarica in un soggetto con un’anamnesi familiare che presenta almeno un altro caso simile.

I sanitari dell’ospedale di Aversa, inoltre, stanno ancora decidendo se denunziare i familiari, in particolare la figlia dell’uomo che, a loro dire, avrebbe ostacolato, con la sua presenza quasi continua in reparto, l’ordinario servizio. Dalla famiglia, la figlia Caterina, ingegnere, ricorda il padre come «una persona solare che era in perfetta forma.Dopo venti anni trascorsi nel settore delle calzature come tagliatore di pelli, da qualche tempo era passato all’edilizia ed in questo periodo stava lavorando in uno dei tanti cantieri edili per la ricostruzione de L’Aquila. Inoltre, era un appassionato di moto, che utilizzava normalmente. Aveva 52 anni, ma, all’apparenza sembrava un giovane, per cui la sua morte improvvisa ci appare ancora più assurda».

Un appello affinchè si venga a capo della vicenda giunge, tra le lacrime, anche dalla moglie di Emanuele De Carlo che evidenzia anche la presenza in famiglia dell’ultima figlia, poco più di una bambina, appena diciassettenne, che è stata privata del papà in poche ore.

Dall’Asl di Caserta e dall’ospedale di Aversa, così come già evidenziato ieri, si ricorda che il paziente è stato costantemente monitorato dai diversi medici che si sono succeduti e che già un quarto d’ora dopo il ricovero dell’uomo era stato allertato il 118 per cercare di trovare un posto libero in una struttura ospedaliera che fosse dotato di emodinamica, sebbene non ritenessero questi esami imprescindibili relativamente al quadro clinico presentato. Ipotesi contrastanti, ipotesi che si contrappongono quelle dei familiari e dei sanitari.

Un rebus che potrà essere risolto solo dai risultati ufficiali dell’esame necroscopico che il medico legale deve depositare entro sessanta giorni dal 28 dicembre scorso, giorno in cui, con procedura d’urgenza è stato eseguito su disposizione della magistratura irpina.

L’episodio della morte di De Carlo riporta alla ribalta della cronaca, al di là dell’episodio contingente, la cui soluzione rimane ancora aperta e con indagini in corso, il clima di tensione in cui sono costretti ad agire gli operatori del presidio ospedaliero normanno, soprattutto degli addetti al pronto soccorso. Pronto soccorso oberato di lavoro, con circa cinquantamila prestazioni all’anno (secondo solo alla analoga struttura del Cardarelli di Napoli), che serve non solo i diciannove comuni dell’Agro Aversano, ma anche tanti centri dell’hinterland settentrionale di Napoli, come proprio il caso di Emanuele De Carlo, proveniente da Sant’Antimo, dimostra.

Una vera e propria trincea dove sono pochi gli addetti che resistono per anni, mentre sono molti quelli che cercano di evitarla. Il problema non è tanto il lavoro che pure non manca, ma il clima in cui sono costretti ad operare questi malcapitati che sono spesso bersaglio della rabbia dei familiari. A farne le spese una dottoressa che ha ricevuto un pugno in pieno volto da un accompagnatore di un paziente, proprio mentre in altra parte del nosocomio era presente una delegazione della commissione consiliare sanità della Regione Campania.

Un’altra volta a farne le spese l’intera struttura del pronto soccorso con sedie e panche che, letteralmente, volavano mandando in frantumi vetrate tra un fuggi fuggi generale dei malcapitati pazienti in attesa di essere curati. A provocare il pandemonio l’incontro tra i feriti di due fazioni che hanno continuato all’interno del nosocomio una rissa iniziata fuori.

Una vicenda, questa della sicurezza, che ha avuto maggiore risonanza, con episodi di piccola e grande violenza, soprattutto da quando, oramai sette anni fa, è stato chiuso il drappello ospedaliero di pubblica sicurezza, i cui agenti erano forniti dal locale commissariato che, ad un certo punto, non ha avuto più un organico sufficiente ad assicurare la presenza fissa di un agente presso il nosocomio aversano.

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