Immigrati nel Casertano, va sempre peggio

di Redazione

 CASERTA. Immigrazione, l’Italia è di sicuro uno dei paesi che, negli ultimi anni, è stato maggiormente interessato da tale fenomeno.

Ne sa qualcosa il nostro territorio che, da decenni ormai, accoglie persone provenienti da ogni martoriato angolo della terra. Sotto questo punto di vista, il litorale domizio rappresenta un caso emblematico. «Nell’area domiziana possiamo calcolare circa 2000 presenze regolarmente registrate all’anagrafe comunale, alle quali vanno aggiunte circa 8000 unità tra irregolari richiedenti asilo e con permesso di soggiorno. Le etnie più numerose sono nigeriane, ghanesi e liberiane».

A parlare è Renato Natale, medico, presidente dell’associazione “Jerry Masslo”, che da circa vent’anni cerca di salvaguardare la salute e migliorare le condizioni di vita dei migranti. «La quasi totalità di loro – prosegue Natale – vive in condizioni scadenti, in appartamenti sovraffollati e, praticamente, senza servizi. I pochi che hanno un impiego lavorano a nero e sono sfruttati e malpagati».

Non sempre le istituzioni tutelano queste persone, le qauali, di conseguenza, si rifugiano nella solidarietà dei cittadini. «La nostra associazione – riprende Natale – è nata principalmente con lo scopo di tutelare la salute degli immigrati. Nel corso degli anni, però, si è cercato di offrire altri servizi. Abbiamo realizzato attività per aiutare le prostitute e garantito servizi per l’infanzia. Inoltre, a Casal di Principe, abbiamo uno sportello, gestito da Jean Bilongo, che aiuta gli stranieri nelle faccende relative al permesso di soggiorno, nell’apprendimento della lingua italiana, nell’avvio di un’attività lavorativa».

Esemplare, in tal senso, è sicuramente la sartoria sociale installata presso il bene confiscato denominato “Casa di Alice”. Le condizioni di disagio socio – economico e le abitazioni scadenti dal punto di vista igienico – sanitario sono confermate dalla comunità straniera. Kinsley, trentasettenne liberiano, è in Italia dal 2003: «Sono scappato dal mio paese in seguito allo scoppio della guerra civile, quando era presidente Charles Tylor. Attraversando Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio e altri paesi, somno giunto in Libia, dove ho lavorato per quattro anni. Poi sono partito per l’Europa e ho raggiunto Lampedusa. In seguito ho vissuto a Foggia, poi a Vicenza, dove lavoravo in un’industria tessile».

La vita di Kinsley di sicuro non è facile. Vive in un appartamento con la fidanzata napoletana e altri immigrati, pagando 500 euro al mese di affitto, e non ha mai più rivisto la sua famiglia. Nel complesso di trova bene in Italia, ma ha difficoltà nel trovare un’occupazione e non si sente aiutato e tutelato dalle istituzioni. «Nell’ultimo periodo è molto difficile trovare lavoro. Per questo parecchi miei compagni passano la giornata in balia di alcol e droghe. E per lo stesso motivo molti di loro intraprendono attività losche, al servizio della camorra. Ache se, dopo la carneficina di qualche anno fa, c’è molta paura tra di noi».

Si riferisce chiaramente alla strage di San Gennaro, quando il clan Setola trucidò sei immigrati a Castelvolturno. «Per quanto riguarda il cibo – continua Kinsley – riesco ad avere un pasto decente grazie all’attività della Caritas. Sono stato quattro anni a Castelvolturno e nel periodo in cui sono stato io, sono stato bene, avevo un lavoro dignitoso che mi consentiva di condurra una vita decorosa».

Mentre parliamo ci raggiunge Debra, ventisettenne Ghanese, palesemente sotto l’effetto di alcol. Il suo italiano è scadente quindi è Kinsley a parlare per lui. «È arrivato in Italia – dice – in aereo, grazie ai soldi datigli dal padre. Pensava di poter cambiare vita, ma non è stato così, quindi è caduto vittima dell’alcolismo».

Anche Debra vive in un appartamento sovraffollato e con servizi scadenti. In passato ha lavorato in campagna, ma ora il lavoro scarseggia anche in quel settore. La situazione del litorale domizio sicuramente è complessa. Quando chiediamo a Kinsley cosa pesna di fare per cambiare le cose risponde sorridendo: «Quando posso gioco il Win For Life – ammette, mostrando una banconota da 5 euro – è l’unica speranza che ho di cambiare vita».

di Marian Gargiulo

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