Gomorra, Saviano in aula: “La mia vita è libera solo all’estero”

di Redazione

 NAPOLI. “Mi sento come un reduce che racconta una battaglia con la percezione che gli astanti non possono percepire fino in fondo ciò che sento e provo. Non ce la faccio più e ho chiesto a un ufficiale dei carabinieri di togliermi la scorta, mi hanno risposto: ‘Non ci pensare nemmeno’”.

Lo ha detto nella sua testimonianza in aula Roberto Saviano, lo scrittore minacciato dalla camorra e testimone alla settima sezione penale del tribunale di Napoli nel processo contro i boss del clan dei casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti, accusati di minacce. Imputati anche i loro difensori Carmine D’Aniello e Michele Santonastaso. “Il mio futuro èlontano dall’Italia dove chiederò una nuova identità e ripartirò da zero”.

Saviano rievoca le minacce subite nel 2008. L’episodio risale al marzo di quell’anno, quando – davanti alla Corte d’Assise di Appello – era in corso il processo ‘Spartacus 2’. L’avvocato Santonastaso (attualmente in carcere per associazione mafiosa), che all’epoca, assieme a D’Aniello, assisteva Bidognetti e Iovine (quest’ultimo all’epoca ancora latitante) lesse in aula una lunga nota, che in calce recava addirittura la firma dei due boss, con cui si avanzava la richiesta di trasferire il processo in un’altra città per legittima suspicione.

Il testo della lettera conteneva parole ed espressioni minacciose nei confronti dello scrittore, dei magistrati Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho e della giornalista, Rosaria Capacchione, oggi senatrice Pd. Appena due mesi dopo iniziò la stagione delle stragi compiute dal gruppo di fuoco del clan dei casalesi guidato da Giuseppe Setola (oltre venti omicidi di innocenti, tra cui la strage degli immigrati di Castel Volturno), conclusasi con l’arresto del boss nel gennaio 2009.

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