Milano, ucciso Emanuele Tatone: l’ex boss originario del Casertano

di Redazione

 CASERTA. Il boss del quartiere di Quarto Oggiaro, alla periferia di Milano, Emanuele Tatone, 52 anni, originario di Casaluce (Caserta), è stato trovato morto, ai piedi di un albero, sul ciglio di una stradina sterrata che collega alla zona degli orti di Vialba.

La scoperta (VIDEO) nella tarda mattinata di domenica, intorno alle 13. A pochi metri di distanza da quello di Tatone c’era un altro cadavere, di Paolo Simone, 54 anni. Entrambi presentavano segni di colpi d’arma da fuoco. Sul posto gli agenti della squadra mobile, guidati da Alessandro Giuliano. L’altro uomo trovato ucciso non viene ritenuto un pregiudicato di rilievo e gli investigatori stanno accertando se ci sono stati in passato collegamenti tra i due o tra le rispettive famiglie.

La famiglia Tatone è una delle più influenti negli ambienti criminali del quartiere, soprattutto per la gestione della droga, anche se Emanuele da tempo era uscito dal giro a causa della sua dipendenza dalla droga. La storia della famiglia Tatone parte da Rosa Famiano, che nella primavera del 1972 decise di trasferirsi da Casaluce, piccolo centro dell’agro aversano, a Milano. Il marito, Antonio Tatone, non era d’accordo, e lei partì con i figli, quattro maschi adolescenti e una bambina: Mario, Pasquale, Emanuele, Adelina e Nicola.

Trovarono casa a Quarto Oggiaro, zona dormitorio sorta in quel periodo. Il 15enne Mario fu il primo a cacciarsi nei guai, con un furto alla Standa: si fece un anno al Beccaria e ne uscì con il tatuaggio della mala, cinque piccoli punti sulla mano sinistra. Dopo Mario, a ruota tutti i fratelli finirono dietro le sbarre, inizialmente per furto d’auto, e poi rapine, spaccio di droga, tentati omicidi. Anche Adelina, sposata a un boss della Sacra Corona Unita, fu arrestata per una serie di rapine attuate con un braccio ingessato usato come arma impropria. Nel 1987, in tre mesi, finirono nuovamente in galera Emanuele, Pasquale e Nicola, con le accuse di omicidio per il primo, tentato omicidio per gli altri due.

Emanuele, pur ricercato, girava indisturbato per il quartiere: i carabinieri lo arrestarono al bar, e per uscire dal locale dovettero farsi largo armi in pugno. Fu poi assolto per insufficienza di prove. Pasquale e Nicola avevano sparato a bruciapelo un colpo di lupara contro un meccanico : morto per aver osato spostare la loro Golf, parcheggiata davanti al passo carraio dell’officina.

Alla fine soltanto mamma Rosa era riuscita a evitare il carcere, pur sospettata di essere la “regista” del clan. Finì dietro le sbarre nel novembre 1992, assieme alla figlia Adelina, per spaccio di droga: “nonna Eroina”, la chiamavano.

Nel 2002 Emanuele Tatone salì nuovamente alla ribalta per una vendetta amorosa. Un trentenne manovale di Paternò, Angelo Moncada, fece delle avances a una ragazza, senza sapere che fino a un mese prima lei era la fidanzata di Tatone. Fu sparato alla pancia, sopravvivendo per miracolo.

Ultimamente Emanuele Tatone, vittima della tossicodipendenza, era caduto in disgrazia. Viveva al civico 18 di via Pascarella, dove da anni si fronteggiano forze dell’ordine e occupanti abusivi. A luglio scorso, dopo aver ricevuto lo sfratto dall’appartamento dove viveva con la compagna e la figlia, aveva inscenato una protesta montando una tenda in cortile. “Ho pagato il mio debito con la giustizia e voglio redimermi, non sono più un boss, non ho più niente”, diceva. E prospettava un cambiamento di vita: “In galera ho imparato a fare il barbiere, sono pronto a pagare tutti gli arretrati”. Una storia che, forse, negli anni ha dato ragione al vecchio Antonio Tatone, che preferì restare a Casaluce.

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