Camorra e slot machine, sgominato il “gruppo romano” dei casalesi

di Redazione

 CASERTA. Operazione anticamorra ad Acilia, alle porte di Roma, dove i finanzieri del Gico hanno tratto in arresto 15 persone, tra affiliati e imprenditori ritenuti vicini alla fazione del clan dei casalesi guidata dall’ex superlatitante Antonio Iovine, alias “’O Ninno”, di San Cipriano d’Aversa.

Le accuse, contestate dai pm dell’antimafia napoletana Antonello Ardituro e Alessandro Milita, sono di trasferimento fraudolento di beni, usura, estorsione, illecita concorrenza con minaccia e violenza, detenzione illegale di armi, delitti aggravati dalla finalita’ di agevolare l’associazione mafiosa e dalla metodologia mafiosa dell’azione.Nel mirino degli investigatori il giro delle slot machine e quello delle scommesse in Campania, a Roma e in altri centri del Lazio. Sequestrati beni mobili e immobili, società e disponibilità finanziarie, per un valore stimato pari a circa 30 milioni di euro.

Dalle indagini, coordinate dalla Dda, è emerso come il sodalizio criminale, partendo dalla provincia di Caserta, fosse riuscito a garantirsi, con la forza dell’intimidazione mafiosa, la gestione monopolistica e violenta del settore della produzione, installazione, distribuzione e noleggio delle cosiddette “macchinette mangiasoldi”, oltre all’esercizio organizzato delle scommesse e del gioco, non solo in Campania, ma anche nel Lazio e in alcuni quartieri della città di Roma. In particolare, Mario Iovine – detto “Rififì” e indicato come collegato ai casalesi, già condannato per analoghi reati – nel 2003 si trasferiva nella borgata romana di Acilia dove, secondo l’ipotesi accusatoria, creava, investendo proventi di attività criminose e anche grazie al qualificato apporto di persone residenti ad Acilia, una società attraverso la quale “con modalità violente realizzava, in effetti, un monopolio nella distribuzione delle slot machine. Realizzava, in tal modo, gli scopi del sodalizio casertano, con un’ulteriore espansione delle sue attività economiche attraverso una sorta di “joint-venture” tra esponenti di vertice della criminalità organizzata campana e imprenditori di Acilia, a loro volta ritenuti in contatto con esponenti della malavita laziale.

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Lo sviluppo delle indagini consentiva ai finanzieri di ricostruire i ramificati investimenti nello specifico settore commerciale, permettendo l’individuazione di alcune attività imprenditoriali, operanti sulla piazza di Roma, strumentali al mantenimento economico e all’egemonia criminale del gruppo camorristico dei casalesi. E’ emerso che, dopo l’arresto di Iovine, avvenuto nel maggio 2008, i soci romani si erano distaccati dall’organizzatore dei casalesi iniziando a operare attraverso un loro gruppo associativo, creato a perfetta imitazione della consorteria criminale casertana e ricalcante le stesse modalità operative. Parallelamente, le persone collegate a Iovine, ancora attivo nel dare indicazioni dal carcere ai suoi familiari, mantenevano la gestione effettiva delle precedenti attività, anche quelle oggetto oggi di sequestro e confisca, continuando a operare nella distribuzione delle macchinette mangiasoldi, curando però di rispettare i confini di Acilia, attesa l’avvenuta cessazione delle relazioni societarie tra casalesi e romani.

E’ stato accertato, inoltre, che il gruppo romano, per mantenere ed estendere il suo potere criminale ed economico, si è avvalso di un braccio armato e violento, composto da un nutrito e pericoloso gruppo di cittadini albanesi, definiti “i pugilatori”, tra i quali spiccava un ex campione italiano ed europeo dei pesi medio-massimi. E, ancora, che il “gruppo romano” dei casalesi si serviva anche di cani di razza Boxer per le “spedizioni punitive” nella Capitale nei confronti di chi non si piegava alle direttive del clan.

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