‘Ndrangheta, arrestato il boss latitante Pietro Labate

di Antonio Taglialatela

Pietro LabateREGGIO CALABRIA. Finisce la latitanza del boss Pietro Labate, di 62 anni, capo dell’omonima cosca egemone nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.

Ricercato dall’aprile 2011, con le accuse di associazione mafiosa ed estorsione, Labate è stato catturato dagli agenti della squadra mobile, diretta da Gennaro Semeraro, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, intorno alle ore 22,30 di venerdì.

Al momento dell’arresto guidava uno scooter nel suo quartiere, Gebbione, alla periferia sud della città, in via Argine Torrente Sant’Agata. I poliziotti sono intervenuti quando hanno avuto la certezza che sotto il casco si nascondesse il volto di Labate, che ha tentato una disperata fuga ma è stato subito bloccato e ammanettato.

Poco distante dal luogo della cattura gli investigatori hanno scovato anche il rifugio del latitante, che non era armato e non deteneva armi neanche nel covo, all’interno del quale sono stati sequestrati gli oggetti in uso al boss, tra cui un tablet, che ora sono al vaglio degli inquirenti. Accertamenti anche sul proprietario dell’appartamento in cuiLabatesi nascondeva e altre persone che potrebbero avere fiancheggiato il latitante.

Il nome di Labate era stato recentemente inserito dal Ministero dell’Interno nell’elenco dei latitanti più pericolosi. A luglio del 2012 è stato condannato in primo grado a 20 anni di reclusione.

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“Il primo aspetto che bisogna curare nell’occupazione del territorio da parte dello Stato è il controllo della criminalità, e si esegue innanzitutto evitando che ci siano latitanti. L’esistenza di latitanti rappresenta la forza della ‘ndrangheta, con questo arresto si dimostra che lo Stato si sta reimpossessando del territorio”. Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, nel corso della conferenza stampa tenuta in Questura per illustrare i dettagli della cattura.

De Raho ha poi elogiato l’operato della squadra mobile: “Lo Stato risulta particolarmente forte nel momento in cui i suoi movimenti non trapelano all’esterno, pensare che un latitante protetto comeLabatevenga raggiunto in strada, significa che la rete di polizia che gli è stata addosso non ha fatto filtrare nemmeno il sospetto che gli si fosse col fiato sul collo, una professionalità tale che ha consentito di arrivare in un territorio governato assolutamente dalla cosca”.

“I latitanti – ha aggiunto il procuratore capo, che da poco ha lasciato la Dda Napoli – anche qui in Calabria continuano a stare nel territorio dove comandano, nel momento in cui si interromperanno i contatti fra società e ‘ndrangheta, in quel momento la ‘ndrangheta sarà finita e destinata a eliminazione sol che la popolazioni cominci a comprendere che la ‘ndrangheta è un piombo che non può continuare a gravare sulla società civile”.

“E’ stato un duro lavoro – ha spiegato il capo della Mobile, Gennaro Semeraro – protratto per oltre un anno, abbiamo lavorato giorno e notte, questo risultato ci ripaga degli enormi sacrifici fatti dai miei uomini diretti dal funzionario Francesco Rattà, un ottimo collaboratore che ha dimostrato in ogni circostanza, e non solo in questa occasione, di essere un investigatore di alto profilo”. “Non abbiamo fatto il minimo errore – ha concluso Semeraro – perché sapevamo bene che anche il più piccolo errore l’avremmo pagato caro”.

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