VI° Festival dell’Impegno Civile, si parte da San Tammaro

di Redazione

 SAN TAMMARO. 40 tappe, più di 70 organizzazioni coinvolte, migliaia di chilometri da percorrere. Il Festival dell’Impegno Civile, alla sua sesta edizione, ha raggiunto una diffusione senza precedenti ma, soprattutto, ha alzato il livello dello sfida.

“Facciamo l’impresa” è la tematica che, da San Tammaro (Caserta), sede della “Calcestruzzo Beton Campania” (azienda sequestrata agli Iorio), per due mesi caratterizzerà la rassegna itinerante promossa da Libera e dal Comitato Don Peppe Diana con il patrocinio della Presidenza della Repubblica. Sequestro-confisca-destinazione, l’iter che porta un’impresa sottratta al patrimonio mafioso ad essere produttiva e a generare lavoro è estremamente complesso e molte volte inefficace.

Per cercare di esaminare le criticità del processo di mondatura dell’azienda dalla scorza criminale è stata allestita una tavola rotonda moderata da Mauro Baldascino, responsabile dell’Osservatorio provinciale uso beni sociali. I magistrati Raffaello Magi, Antonello Ardituro e l’amministratore giudiziario Gianluca Casillo hanno discusso delle problematiche da loro riscontrate nell’affrontare le fattispecie concrete nel casertano, partendo appunto dal caso della Beton.

L’obiettivo che la “Antimafia 2.0” vuole realizzare va oltre quello simbolico della confisca e dell’uso sociale del “bene del boss”; qui si parla di trasformare gli investimenti mafiosi in patrimonio della collettività che genera ricchezza ed occupazione.

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“Le mafie si occupano prevalentemente di fare soldi, solo come extrema ratio fanno vittime. – ha esordito Magi, ora presidente della prima sezione penale in Cassazione. – Combattere la mafia significa quindi privarla delle risorse economiche che alimentano il sistema”. Per un magistrato l’opera di riabilitazione giudiziaria di un’impresa è tutt’altro che semplice. “In primo luogo – spiega Magi – l’azienda quando entra nella disponibilità dello Stato viene attaccato dagli istituti finanziari che pretendono il rientro immediato della generosa linea di credito precedentemente concessa”.

Per gli istituti bancari lo Stato non rappresenta un interlocutore privilegiato, anzi. Ne nasce una reazione a catena che porta i fornitori a chiedere il saldo delle fatture in sospeso, l’impossibilità di evadere le commesse, la perdita dei clienti ed, infine, i licenziamenti. “Sono felice – ha chiosato il magistrato – che il Festival parta proprio da questa azienda. Purtroppo questa è una delle poche imprese,secondo la mia esperienza maturata come presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria, dove l’intervento dello Stato non ha portato la fine dell’impresa e l’abbassamento del livello occupazionale”.

La “Calcestruzzi Beton Campania” nasce sulle ceneri di “Edil Beton”, già colpita da misure di prevenzione che avevano intaccato il patrimonio del capostipite della famiglia Iorio, Gaetano. Dopo cinque anni di amministrazione controllata – come spiegato dagli amministratori giudiziari Scaramella e Visone – l’azienda si presenta con un fatturato intorno ai 2,5 miliardi di euro e dei bilanci comunque in attivo.

In questo contesto è da leggere il duro attacco di Antonello Ardituro. Attacco nei confronti del sistema normativo in tema di riutilizzo delle imprese confiscate e delle istituzioni proposte alla loro gestione che si dimostrano del tutto inadeguate. “In questo periodo, in cui boss come Iovine e Zagaria soni al 41 bis e diversi clan sono stati smantellati, lo Stato sta vanificando i nostri sforzi di infliggere il colpo ferale al patrimonio camorristico. Proprio ora che dovremmo puntare a fare impresa siamo invischiati in un sistema istituzionale farraginoso. Dobbiamo superare il valore simbolico del sequestro dei beni, il vero problema è quello della cessione delle imprese”.

 Con riferimento alla Beton, Ardituro ha osservato: “Solo nel campo del calcestruzzo la magistratura ha sequestrato 6-7 aziende; se la loro gestione fosse messa a sistema si creerebbe un nuovo attore fondamentale nelle dinamiche economiche della provincia. Noi magistrati, amministratori giudiziari non vogliamo più soltanto difendere quelle poche imprese sequestrate che riescono a sopravvivere. Bisogna creare un piano di sviluppo del territorio incentrato sul patrimonio sottratto ai clan”.

Le condizioni ostative a questo progetto sono molteplici: la mancanza di un corpus normativo adeguato, l’assenza di un protocollo d’intesa con l’Abi, l’inadeguatezza palesata dall’Agenzia Nazionale sui beni confiscati. Questo soggetto istituzionale che dovrebbe traghettare l’impresa nel mercato a seguito dell’attività giudiziaria è il grande assente. Lontano anche fisicamente da questo appuntamento, come è stato denunciato in sala, e soprattutto incapace di essere un interlocutore serio con banche e prefetture.

Questo è stato solo il prologo dell’edizione 2013 del Festival dell’Impegno Civile. Un’edizione che, attraverso il riutilizzo, la promozione e valorizzazione dei beni confiscati, si pone un obiettivo ambizioso: convertire il letame del potere malavitoso in humus economico per Terra di Lavoro. “Basta difendersi! E’ giunto il momento di passare all’attacco”, come ha ribadito Ardituro.

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