Csm contro Messineo: “Fece fallire la cattura di Messina Denaro”

di Mena Grimaldi

 ROMA. “Preferisco non commentare…”. Si limita a dire solo questa frase secca il Procuratore di Palermo Francesco Messineo, interpellato dall’Adnkronos dopo la decisione della prima commissione del Csm che ha avviato una procedura per il trasferimento d’ufficio per incompatibilità a carico del procuratore capo di Palermo.

La prima Commissione del Csm ha disposto per il giorno 2 luglio la convocazione di Messineo che “costituisce l’atto iniziale del procedimento, anche con finalità di garanzia, e ha lo scopo di consentire al magistrato di esporre le sue ragioni”, ha scritto in una nota il Csm.

Al centro dell’avvio del procedimento c’è “un condizionamento” di Messineo da parte di Antonio Ingroia, un rapporto privilegiato con l’ex procuratore aggiunto del capoluogo siciliano, che avrebbe condizionato il procuratore capo tanto da creare situazioni difficili all’interno dell’ufficio, anche nel pool di magistrati che hanno lavorato all’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia.

E poi la mancata cattura di un boss ricercato senza tregua da anni. C’è anche questa “accusa” nella lista degli addebiti che il Cms imputa al procuratore capo di Palermo.Francesco Messineonon avrebbe favorito la circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio e “conseguenza di questo difetto di coordinamento sarebbe stata la mancata cattura del latitanteMatteo Messina Denaro”.

Il mancato coordinamento all’interno della Procura, dunque, avrebbe avuto per “conseguenza” “la mancata cattura del latitante Matteo Messina Denaro”. E’ quanto si legge in uno dei passaggi del documento del Csm sull’avvio della procedura di trasferimento d’ufficio del procuratore capo di Palermo, Messineo. Questo rilievo è basato su quanto emerso dalle audizioni di magistrati della Procura siciliana avvenute nei mesi scorsi a Palazzo dei Marescialli.

Messineo, secondo il Csm, “ha disatteso le prescrizioni del suo stesso progetto organizzativo, non provvedendo a favorire quella circolazione delle informazioni che, con particolare riferimento alle indagini di Dda, è strumento indispensabile per raggiungere risultati significativi”.

Dalle audizioni svolte al Csm è emerso che “le notizie relative a importanti indagini gestite da alcuni procuratori aggiunti venissero apprese dai loro stessi colleghi dai giornali e non invece conosciute nel corso delle riunioni che avrebbero dovuto essere tenute periodicamente”.

In particolare, nel corso delle audizioni è stato detto che le riunioni sul procedimento Stato-Mafia “erano state due in sei mesi, quando se ne sarebbero dovute disporre una ogni quindici giorni” e che “l’aggiunto Ingroia e il sostituto Di Matteo non gradivano dette riunioni”.

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