Marrazzo in aula: “Del video mi parlò Berlusconi”

di Mena Grimaldi

 ROMA. “I quattro anni trascorsi sono stati molto difficili, è stata colpita la mia famiglia e la mia dignità personale e professionale”.

Ad affermarlo, dopo quattro anni di silenzio, è Piero Marrazzo sentito per la prima volta come testimone nel processo che vede imputati quattro carabinieri: Nicola Testini, Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Antonio Tamburrino accusati di aver organizzato un ricatto ai suoi danni.

Chiede l’avvocato Luca Petrucci, parte civile al processo: “Piero Marrazzo è cambiata la sua vita?”. Risposta: “Mi sono separato. Mi sono dimesso. Ed era giusto farlo. Sono tornato a non fare il mio lavoro. La pressione della stampa è stata micidiale. Sono contento che questa storia sia riportata nel giusto alveo di un processo”.

L’ex presidentedella Regione Lazio ha ammesso di avere avuto “negli anni passati sporadici incontri con transessuali, se ne contano sulle dita di una mano, qualche volta si è consumata della cocaina che non portavo certo io. Non ho mai usato l’auto di servizio per questo tipo di incontri né ho mai portato trans negli uffici della Regione”. Tutto inizia il 3 luglio in un appartamento di via Gradoli.

“Allora ero presidente della Regione e commissario dei rifiuti e della sanità. Chiesi alla scorta di poter andare a piedi, sono entrato nell’appartamento della persona che avevo chiamato prima (il trans Natalie) e sono entrato mi pare di ricordare nel secondo ambiente. Ho iniziato a spogliarmi. Trovandomi in questa stanza, dopo un lasso di tempo non ho sentito un campanello e nell’accadere ho visto entrare degli uomini, uno più alto e uno un po’ meno robusto. In seguito, questo è stato ribadito, erano carabinieri della stazione Trionfale. Sono stato relegato, mi è stato preso il telefonino per un lasso di tempo che mi è sembrato lungo. Ho avuto paura”.

“Appresi del video – continua nel suo racconto il giornalista Rai – quando dopo alcuni giorni mi chiamòl’allora premier Silvio Berlusconi per dirmi che un direttore del gruppo Mondadori, credo si tratti di Alfonso Signorini, aveva visto un video che mi riguardava e che era inutilizzabile perché non si capiva bene”.

“Berlusconi – prosegue Marrazzo – mi disse che ce lo aveva un’agenzia di Milano e mi diede un numero al quale telefonai successivamente. Mi rispose una donna, mi confermò di averlo. Le risposi che mi sarei attivato per mandare qualcuno di mia fiducia a vederlo. Poi, dopo forse un giorno, mi richiamò Berlusconi affermando che il video era stato sequestrato dai Ros e che tutto era andato bene. Mi volle tranquillizzare”.

L’ex governatore ha aggiunto che “quando fui sentito in procura, ebbi modo di vedere quel video, era girato in modo farraginoso e forse sottoposto a un montaggio. Oggi questa storia mi appare tutta più logica: quei carabinieri mi impedirono di lasciare la casa di Natali perché stavano girando un video”.

“Quel 3 luglio del 2009, nell’appartamento di Natalì in via Gradoli, ho avuto molta paura. Mi sono reso conto di aver compiuto il più grande errore della mia vita”, racconta Marrazzo, parlando del giorno in cui due carabinieri infedeli fecero irruzione nell’appartamento del trans Natalì in via Gradoli a Roma.

Marrazzo, rispondendo al pm Rodolfo Sabelli ed Edoardo De Santis davanti ai giudici della IX sezione penale, ricorda che “fu sottoposto da quei due carabinieri in borghese entrati nell’appartamento ad una violenza psicologica molto forte, mi trovai in stato di restrizione, mi sentivo sotto sequestrato”.

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