Cosentino, Consulta: “Camera non doveva negare uso intercettazioni”

di Redazione

Nicola CosentinoCASAL DI PRINCIPE. Non spettava alla Camera dei Deputati negare, con deliberazione del 22 settembre 2010, l’autorizzazione, richiesta dal gip di Napoli, all’utilizzo di quarantasei intercettazioni telefoniche nei confronti dell’ex sottosegretario all’economia NicolaCosentino.

Lo spiega la Corte Costituzionale nella sentenza, depositata oggi in cancelleria, con la quale è stato annullato quel provvedimento passato alla Camera con 308 voti favorevoli e 285 contrari.Nella deliberazione parlamentare impugnata (dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ndr) “la motivazione formulata dal gip – dicono i giudici della Consulta – per giustificare la necessità di acquisire le intercettazioni non è in alcun modo esaminata.

Il diniego dell’autorizzazione è fondato, infatti, oltre che sull’erronea premessa “di metodo”, secondo cui l’articolo 6, comma 2, della legge 140 del 2003, rimetterebbe alla Camera di appartenenza la scelta del criterio di decisione, sui seguenti argomenti: che esisterebbe un ‘nesso’ con la precedente deliberazione, con la quale la Camera dei deputati aveva negato l’autorizzazione all’arresto del parlamentare, ‘stretto a tal punto che sarebbe stato contraddittorio decidere diversamente’; che le intercettazioni in questione, riguardando conversazioni avvenute tra l’allora deputatoCosentinoe altre persone tra il 2002 e il 2004, conterrebbero ‘elementi ormai molto risalenti nel tempo e la cui idoneità probatoria deve ritenersi in gran parte scemata’; che il contenuto delle intercettazioni ‘non conferisce profili di novita’ alle risultanze dell’esame che è già stato svolto a proposito della richiesta di arresto'”.E ancora, “che il dato emergente dalle intercettazioni ‘non può ritenersi decisivo ai fini della colpevolezza”; che, conseguentemente, sarebbe evidente ‘la fragilità dell’impianto accusatorio'”.

Per la Consulta “i richiamati argomenti sono volti a negare, in modo assiomatico, rilievo decisivo al valore probatorio delle comunicazioni intercettate”, ma “impropria sarebbe una pretesa di limitare l’autorizzazione solo alle prove cui sia attribuibile il carattere della “decisività”, al cui concetto non può essere ridotto e circoscritto quello di “necessità”.

Insomma, la deliberazione della Camera dei deputati risulta essere stata assunta sulla base di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall’articolo 68, terzo comma, della Costituzione e interferiscono con le attribuzioni che l’articolo 6, comma 2, della legge 140 del 2003 assegna in via esclusiva al giudice penale.

Dunque, la Camera non doveva sostituirsi al gip “nella valutazione circa la sussistenza, in concreto, di tale “necessità”, ma avrebbe dovuto valutare la coerenza tra la richiesta e l’impianto accusatorio e, in particolare, se l’addotta necessità sia stata “motivata in termini di non implausibilità”.Il Parlamento non può riesaminare “dati processuali già valutati dall’autorità giudiziaria”, ma solo verificare “che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio e che non sia, dunque, pretestuosa”.

Per la Corte Costituzionale la richiesta di autorizzazione all’uso di quelle 46 intercettazioni avanzata dal gip di Napoli, per evidenziare ‘contatti e frequentazioni traCosentinoe soggetti di cui è stato accertato il contributo rilevante e consapevole prestati al clan del casalesi e a sodalizi a questo collegati’, “appare conforme ai principi e ai criteri enunciati”.

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