Vertice Pd, Renzi c’è ma non parla

di Redazione

 ROMA. Molti consensi, ma anche diversi distinguo e qualche opposizione netta alla linea politica dettata in “otto punti” da Pierluigi Bersani nel suo discorso alla direzione del Pd.

In particolare il no al governissimo ribadito con fermezza dal segretario all’interno del Pd non è unanime come si potrebbe pensare, anche si tratta di un’ipotesi esclusa con fermezza dallo stesso Massimo D’Alema che nei giorni scorsi sembrava invece aperto a questa possibilità.

Non c’è stato però l’intervento più atteso, quello di Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze, dopo aver scambiato poco prima qualche battua con Walter Veltroni,ha lasciato infatti la sede del partito dopo un paio di ore di lavori, senza prendere la parola.

Tra i più critici nei confronti di Bersani c’è Umberto Ranieri. Di fronte alla situazione politica che si è venuta a creare “torna l’esigenza di una iniziativa presidenziale: credo che il Presidente della Repubblica sia legittimato a intervenire dall’impotenza dei partiti e dalla situazione finanziaria”, dice l’esponente del Pd precisando che “non con una soluzione per galleggiare ma con un governo del presidente con un programma” su economia e politica.

A questo sbocco chiude la porta però come detto anche D’Alema che ricordando le recenti inchieste sulla compravendita di voti esclude in maniera netta qualsiasi spazio a un’intesa con il Pdl. “Non possiamo rinunciare a fare un discorso sulla destra e alla destra. La destra esiste. Io mi rammarico del fatto che in un momento così drammatico non sia possibile in questo paese una risposta in termini di unità nazionale. Purtroppo non è possibile e l’impedimento si chiama Silvio Berlusconi“, dice l’ex premier.

Si smarca leggermente dalla proposta del segretario Dario Franceschini. “Siamo dentro una bufera. Non possiamo regalare ad altri le nostre divisioni. C’è un elemento di scelta politica che è tenere il partito unito”. “Condivido il no a Berlusconi – dice – con tutto quello che ha fatto non è possibile fare un percorso con lui”. Quindi, su Monti Franceschini ha aggiunto: “Allarghiamoci non ci rinchiudiamo. Se fossimo stati insieme a Monti avremmo preso il 40% e avremmo vinto le elezioni”, mentre su Grillo ha concluso: “Attenti al suo populismo. Di Grillo, non di chi lo ha votato. Infine, guardando ai prossimi mesi, Franceschini ha aggiunto: “C’è il turno delle amministrative, da giocare con il doppio turno. A partire da Roma, vediamo se c’è lo spazio per allargare il nostro campo, dato che l’avversario al ballottaggio potrebbe essere Grillo”.

Un invito a maggiore autocritica arriva da Ivan Scalfarotto. “Non sono ottimista sulla vita di questa legislatura, ma condivido la speranza di Bersani – afferma – Magari questa potrebbe essere una legislatura che ci farà fare cose che non ci aspettavamo: anticorruzione, conflitto d’interessi, coppie omosessuali. Ma per poter fare tutto questo, per essere credibili, dobbiamo assomigliare alle cose che proponiamo, dobbiamo cambiare radicalmente”.

Qualche distinguo arriva pure da Beppe Fioroni. No “al mantra che per prendere voti grillini dobbiamo diventare grillini” perchè altrimenti “non siamo mai né carne né pesce”, dice il deputato del Pd evidenziando alcuni punti sui quali la piattaforma del Pd e quella del movimento Cinque Stelle non sono conciliabili a partire dalle ipotesi di Casaleggio su conflitti mondiali a quella della “decrescita felice” alla critica all’articolo 67. “E’ giusto stanarli ma sapendo che devono confluire su nostri 8 punti perché è la parte praticabile di un programma”, aggiunge.

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