Alimenti, la “marca” non è più sinonimo di qualità?

di Stefania Arpaia

 Quella degli scandali alimentari è una vera e propria bufera che sta investendo vari Paesi, non solo europei, e che inizia ad allarmare seriamente i consumatori.

Dopo la scoperta della presenza di carne equina in prodotti di aziende rinomate (ragù, tortellini, lasagne alla bolognese, pasta fresca), sono altre le notizie che fanno rimanere i consumatori a bocca aperta: la presenza di un topo morto in un barattolo di fagiolini Carrefour, ritrovato in Francia; e la scoperta di veleno per topi in un’insalata made in Italy, esportata in Germania.

Purtroppo, non si può parlare di casi isolati. Basta fare un salto indietro di qualche anno per ricordare il gravissimo scandalo della “mucca pazza” o della diossina nella mozzarella, ma anche delle recenti scoperte di un dolcificante che può provocare problemi intestinali, il sorbitolo, contenuto in barrette al cacao, torte al cioccolato e formaggio, prodotti ritirati in Cina.

Ma a cosa è dovuto tutto ciò? Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, associazione internazionale che ha come obiettivo esaltare il mondo della tradizionale enogastronomia in opposizione a quello dei fast food, spiega che il problema è dovuto alla “corsa al prezzo basso” delle multinazionali. Risolverlo significa restituire al cibo il suo valore, evitando che le persone per risparmiare mettano a rischio la proprio salute, e sopratutto premiare quelle aziende che seguono le giuste pratiche e tengono al bene del consumatore.

Ciò, tuttavia,non basta. L’uomo, senza rendersene conto, sta inquinando suoli e falde acquifere e inevitabilmente anche gli alimenti che essi producono, senza considerare poi le ricadute agricole sulla fertilità del territorio. Inconsapevolmente sta distruggendo il pianeta e sé stesso.

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