Sallusti: “Colleghi infami. No ai domiciliari, voglio andare in cella”

di Redazione

SallustiMILANO. “I colleghi sono degli infami, dovrebbero vergognarsi di quello che stanno scrivendo. Dovrebbero giocare con le loro vite invece che con la mia”.

È lo sfogo, a Canale 5, di Alessandro Sallusti, dopo la decisione della Procura di concedergli gli arresti domiciliari per la condanna a 14 mesi per diffamazione.

“Dopo lo scempio fatto dalla casta dei magistrati, e lo scempio fatto dalla casta dei politici, da questa mattina un’altra casta si arruola tra le più vigliacche e modeste: quella dei giornalisti. Salvata la pelle, perché giustamente è stato bocciato quel disegno di legge infame, adesso escono allo scoperto. I giornali questa mattina trasudano odio nei miei confronti, compiacimento per quello che mi è successo e ironia sul fatto che invece di andare a San Vittore probabilmente starò a casa”, ha continuato il giornalista.

Sallusti cita “Il Corriere della Sera, il Fatto Quotidiano, la Repubblica. La Stampa ha fatto una cosa vergognosa: ha pubblicato una mezza pagina raccontando il lusso della presunta casa in cui dovrei andare a trascorrere i 14 mesi di domiciliari. Hanno salvato la pelle grazie al mio appello al Pdl di far cadere quella legge che avrebbe punito probabilmente anche loro e ora si scagliano con una violenza e una cretineria che non ha pari in nessun giornalismo del mondo”.

“Io non ho chiesto di andare ai domiciliari, ritengo questa decisione della Procura un’ingiustizia. – continua Sallusti – Credo di non avere i requisiti per andare ai domiciliari, dovrei andare in carcere, quindi tantomeno avrei chiesto di scontarli a casa Santanchè”.

“Volevano toglierlo di mezzo e ci sono riusciti. Alessandro Sallusti sarà privato della sua libertà, non importa se agli arresti domiciliari o in carcere: d’ora in poi non ci sarà più un direttore Sallusti ma un detenuto Sallusti”, scrive il cdr del Giornale, in una nota. Per il cdr di via Negri “che un giornalista finisca in carcere per il suo lavoro è un’aberrazione, una ferita che smaschera i limiti della nostra incompiuta democrazia. È inaccettabile – continua il Comitato di redazione – il Parlamento avrebbe potuto guarire questa ferita riformando la legge sulla diffamazione, ma dopo due mesi di lavoro hanno partorito una legge peggiore di prima. Perché? C’è forse sete
di vendetta nei confronti di stampa e tv che ogni giorno raccontano del malgoverno di comuni, province e regioni o degli sprechi e degli abusi della classe politica italiana? Alla fine la nuova legge è morta, il carcere per i giornalisti rimane e tutto riparte da zero. Complimenti, bella lezione, degna di un paese incivile come il nostro”.

“Nessuno chiede l’impunità – conclude il cdr – ci mancherebbe. È giusto che ci sia un risarcimento del diffamato e una sua riabilitazione immediata attraverso una rettifica chiara e palese. Ed è giusto che il giornalista responsabile sia sanzionato, ma non con il carcere, che è una pena da regime liberticida. Per questo motivo siamo vicini al nostro direttore e continueremo questa battaglia per difendere il diritto di informare. Siamo tutti Sallusti”.

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