Liberata una Pussy Riot, le altre condannate a due anni

di Emma Zampella

 Katia Samutsevich MOSCA. Una delle tre è stata liberata, mentre per le altre, che si definiscono prigioniere politiche, è stata confermata la pena a due anni di reclusione.

Si tratta del gruppo punk femminista russo più discusso degli ultimi tempi, le Pussy Riot, che hanno manifestato in una sorta di preghiera anti Punti in una chiesa ortodossa. Katia Samutsevich, la più adulta delle tre, è stato ammessa la libertà vigilata vista la sua “poca” partecipazione all’azione di protesta. È proprio su questo punto che ha fatto leva il suo legale, ottenendo il bene merito della corte d’appello. I giudici, come ha spiegato la portavoce del tribunale, hanno ritenuto che Katia Samutsevich può essere rieducata anche fuori del carcere. La corte ha ricordato all’imputata che dovrà attenersi ad una serie di limitazioni (tra cui andare due volte al mese al commissariato) e che non dovrà commettere altri reati. Katia sarà rimessa subito in libertà.Alla lettura della sentenza ha manifestato la sua soddisfazione portando il pugno verso l’alto. Il suo nuovo avvocato aveva chiesto di valutare la diversa e limitata partecipazione della giovane alla performance nella cattedrale, sottolineando che era stata bloccata prima della dissacrante preghiera anti Putin.

Le sue compagne, Nadia Tolokonnikova, 22 anni, e Maria Aliokhina, 24 anni,restano in carcere e sconteranno la loro pena in una colonia penale. L’accusa che inchioda le componenti del gruppo è quella di “teppismo motivato da odio religioso” per una performance anti-Putin, nella cattedrale di Cristo Salvatore. Ma temerarie e coraggiose, nonostante tutto la Riot continuano a difendere il proprio gesto: “Noi siamo tutte e tre innocenti, siamo in prigione per le nostre convinzioni politiche”, ha dichiarato Maria Aliokhina parlando da una gabbia in vetro. Non volevamo offendere nessuno, né i preti né i credenti, volevamo solo esprimere la nostra protesta contro la fusione tra i leader religiosi e politici del nostro Paese”, ha proseguito la musicista della band, che ha sempre motivato la sua performance contro il sostegno del patriarca della Chiesa ortodossa Kirill alla candidatura di Putin al Cremlino”.

E quanto alla posizione della Chiesa dice: “La Chiesa ortodossa russa attraverso il suo servizio stampa ha detto in televisione che avrebbe chiesto di alleviare la pena, se ci pentiamo. Tali dichiarazioni sono del tutto inammissibili in uno stato laico. La Chiesa ortodossa ha subordinato la clemenza al pentimento ma questo è un ricatto: è terribile quando si ricatta con il pentimento”. E una di loro, Maria Aliokhina (24), ha attaccato frontalmente il leader del Cremlino, che ha ripetutamente sottolineato la volgarità del nome della loro band: “vorrei reagire alle parole di Vladimir Vladimirovich, il presidente del nostro Paese trova volgare il nome del nostro gruppo in russo, che si traduce come la `rivolta della gattine´, io invece credo non sia più volgare della sua frase `inseguiremo e ammazzeremo i terroristi sino nel cessò”, ha detto, ricordando una espressione del gergo malavitoso usata da Putin nel 1999 e suscitando le risate del pubblico.

Poi ha citato un’altra frase, che tuttavia avrebbe pronunciato non Putin ma il suo portavoce Dmitri Peskov: “spalmeremo il fegato degli oppositori sull’asfalto”. Il presidente del tribunale ha cercato di farla tacere ricordandole di attenersi alla materia del processo, trasmesso in diretta sul sito del tribunale.Anche un’altra imputata, Nadia Tolokonnikova (22), ha fatto un riferimento a Putin, sostenendo che il suo terzo mandato presidenziale “porta ad una crescita dell’instabilità, alla guerra civile”. Il presidente del collegio è dovuto intervenire ancora per interromperla. Uno dei difensori delle `Pussy´, Mark Feghin, ha chiesto anche di mettere a verbale le recenti dichiarazioni di Putin (che ha detto di condividere la sentenza) definendo “inammissibile” qualsiasi interferenza sul tribunale, anche da parte delle più cariche dello Stato. Tutte e tre le imputate si sono dichiarate innocenti e hanno chiesto l’annullamento della sentenza.

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