La politica sui social network

di Gennaro Pacilio

 ROMA. A chi gli contestava di passare troppo tempo su Facebook, durante i giorni della Leopolda, Matteo Renzi rispose: “Trovatemi un altro posto dove poter parlare con 20 milioni di italiani e ne riparliamo”.

Da allora gli iscritti italiani al più frequentato dei social network sono diventati quasi 22 milioni, mentre un numero crescente di utenti popola la discussione pubblica su Twitter, spesso in modo integrato rispetto alla piattaforma ideata da Mark Zuckerberg. Su Facebook, Maroni strappò con Bossi, su Twitter Casini “istituzionalizzò” la formula ABC. Ancora, su Facebook e su Twitter vive e pulsa il dibattito spontaneo, vitale dei partiti e dei movimenti politici contemporanei, in Italia e nel resto del mondo libero. Nel biennio 2009 e 2010, la rottura tra Fini e Berlusconi fu anzitutto raccontata su Internet dal webmagazine di Farefuturo, rilanciata e rimbalzata a velocità supersonica su Facebook, Youtube e blog personali. E invece, catapultandoci nel nostro misero presente, quante volte ci sentiamo dire: “Ragazzi, passate meno tempo su Facebook e più tempo per la strada…”.

Peccato che, a differenza di quanto credono certi anziani arnesi politicanti e taluni giovani vecchi, si possa contemporaneamente essere dovunque nel mondo reale e sui social network, fruibili senza problemi da cellulari e tavolette. È negli spazi liberi della Rete che oggi s’incontra e si scontra la polis, producendo una discussione “agonistica” e vitale per i partiti contemporanei.

Pensare di censurare la libera discussione è un tentativo sterile e miope, addirittura misero se accompagnato dalla sempreverde retorica della prevalenza del “territorio”. La qualità della discussione dipende dalla qualità degli argomenti usati, oltre che dalla responsabilità personale di chi partecipa al dibattito, non certo dal mezzo che viene usato.

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