Escort, Berlusconi indagato a Bari: “Spinse Tarantini a mentire”

di Redazione

Silvio Berlusconi BARI. Silvio Berlusconi indagato dalla procura di Bari. Ad anticiparlo sono oggi, giovedì 19 aprile, il Corriere della Sera e Repubblica.

L’accusa sarebbe quella di aver pagato Gianpaolo Tarantini per farlo mentire ai magistrati riguardo alle feste nei palazzi del Cavaliere. L’imprenditore pugliese, accusato di aver portato diverse ragazze (tra cui anche Patrizia D’Addario) nelle palazzi presidenziali, ha sempre sostenuto davanti ai magistrati che Berlusconi non sapesse che si trattassero di prostitute. Dichiarazioni che, secondo i magistrati pugliesi, sarebbero state “comprate” dall’ex premier grazie all’intermediazione di Valter Lavitola. Il legale dell’ex premier, Niccolò Ghedini, ha commentato la notizia sostenendo che si tratta di un atto dovuto e dicendosi sicuro dell’archiviazione.

Secondo quanto scrivono i due quotidiani, però, troverebbero così conferma le parole scritte dai magistrati di Napoli nell’atto di scarcerazione di Tarantini e di sua moglie Nicla la scorsa estate. “Silvio Berlusconi aveva piena e indiscutibile consapevolezza della qualità di ‘escort’ delle ragazze che gli erano state presentate da Gianpaolo Tarantini – avevano scritto all’epoca i giudici – E dunque non c’è dubbio che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Tarantini davanti ai magistrati di Bari nel luglio 2009, risultano reticenti relativamente al coinvolgimento del premier e a tratti addirittura mendaci, determinando la consumazione del reato 377 bis posto in essere da Silvio Berlusconi”

La posizione del premier sarebbe emersa dalla mole di intercettazione effettuate per il caso Tarantini. Secondo la ricostruzione della procura, Lavitola si sarebbe offerto come intermediario tra Silvio Berlusconi e Giampaolo Tarantini, al fine di comprare il silenzio di quest’ultimo. Mercoledì 18 aprile Lavitola è stato sentito per la prima volta dal suo rientro in Italia dai magistrati napoletani e baresi e secondo le indiscrezioni filtrare si sarebbe detto disposto a collaborare. Il reato per il quale sarebbe indagato l’ex premier è punito con la reclusione da 2 a 6 anni.

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